Il dado è tratto. Dopo essersi bruciato tutti i ponti alle spalle, Silvio Berlusconi ha deciso di andare allo scontro finale non solo con il governo Letta, ma con tutto il sistema istituzionale, da Napolitano in giù, anche se questo dovesse segnare la definitiva spaccatura del suo partito. 

La giornata più lunga del centrodestra finisce con la sanzione della spaccatura, con la  conferma del no alla fiducia a Letta. Il che vuol dire trasformare la votazione del Senato in un nuovo 14 dicembre, stavolta alla ricerca dei voti necessari non per salvare il governo, ma di quelli sufficienti per affossarlo, dimostrando di essere ancora una volta lui l’unico e incontrastato leader dei moderati italiani.



Angelino Alfano è diventato, agli occhi di Berlusconi, il nuovo Gianfranco Fini. Un traditore, colpevole di un tradimento così inaspettato da non capacitarsene, da arrendersi all’idea solo all’ultimo istante. 

Sia chiaro, la partita non è definitivamente chiusa. E nemmeno Enrico Letta, a chi glielo chiedeva, era in grado di dire con certezza se una maggioranza a Palazzo Madama ci sia oppure no. 



Si va in aula senza rete, quindi, e la conta sarà al cardiopalmo. Nessuno è in grado di stabilire se i 40 dissidenti pronosticati da Carlo Giovanardi fra le fila dei parlamentari pidiellini si materializzeranno per davvero oppure no. E se Letta non dovesse farcela, per Berlusconi sarebbe una vittoria clamorosa, anche se le conseguenze sul piano economico (dei mercati finanziari) e istituzionale (dello scontro con il Quirinale) potrebbero essere davvero devastanti. Potrebbe essere però una vittoria di Pirro, perché a sole 48 ore di distanza, venerdì, la macchina per la decadenza del Cavaliere dal suo seggio senatoriale compirà un decisivo passo avanti. E in quel caso dubbi sui numeri proprio non ce ne sono.



A convincere Berlusconi a più miti consigli ci hanno provato in tanti, a cominciare da Alfano, protagonista di tre lunghi faccia a faccia a Palazzo Grazioli nel breve volgere di una ventina di ore. È sceso in campo persino Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea, che in una telefonata definita molto amichevole ha tentato di far ragionare il Cavaliere. Niente da fare. Napolitano e Letta sono stati tacciati di inaffidabilità, e Alfano è definitivamente passato dal ruolo di delfino a quello di traditore.

Se il dissenso interno avrà il coraggio di trasformarsi in quel voto a favore del governo Letta auspicato tanto da Maurizio Lupi, quanto da Fabrizio Cicchitto, la scissione nel Pdl sarà realizzata nei fatti, e aprirà scenari nuovi e imprevedibili. Si fronteggeranno due partiti, uno berlusconiano, l’altro “diversamente berlusconiano”, secondo la definizione coniata da Alfano. Forse sarà Forza Italia contro il Pdl (o Nuova Italia), forse i nomi saranno diversi, perché la questione sarà di sostanza e non meramente nominalistica.

Nel suo discorso Letta cercherà di gettare le basi per quel chiarimento definitivo, per quello sbocco non precario auspicato, anzi preteso da Napolitano. Un “prendere o lasciare” senza trattative, soprattutto senza scambi con le vicende giudiziarie del Cavaliere, come si è affrettato a precisare il ministro Franceschini. E a Berlusconi non è stata offerta nessuna sponda, neppure quella di evitare il voto di fiducia, che sarà lo stesso premier a chiedere. 

L’orizzonte del governo sarà di 14/16 mesi, cioè andrà a coprire tutto il 2014, compreso il semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea, con l’obiettivo del voto nei primi mesi del 2015, giusto in tempo per precedere l’apertura dell’Expo di Milano. 

Nel frattempo i partiti potrebbero conoscere una profonda riorganizzazione. Renzi e Letta si sono incontrati e sembrano aver discusso un modus vivendi, l’uno a Palazzo Chigi, l’altro alla guida del partito. Non a caso su Facebook il sindaco di Firenze ha scritto di aver spiegato al presidente che da cittadino spera che prevalga l’interesse del Paese. E di continuare “a fare il tifo per un Governo solido che faccia bene per le famiglie, per le imprese, per l’Italia”. 

Ovviamente è nel campo moderato che si potrebbero verificare sconvolgimenti assai più rilevanti. Anche se Silvio Berlusconi giocasse in extremis la carta segreta della discesa in campo della figlia Marina, il big bang del Pdl consentirebbe di ridisegnare la presenza politica dei moderati nel solco del Partito Popolare Europeo, da cui il Cavaliere rischia di vedersi presto escluso. Vanno in questo senso molteplici segnali, che vanno dagli interventi pubblici di Lupi, Mauro, Dellai e Casini degli ultimi giorni, sino alla presa di posizione del presidente della Compagnia della Opere a favore della continuità di governo, come a dire che chi avrà il coraggio di rompere con l’estremismo berlusconiano non rimarrà solo.

Scenari suggestivi, che sono però per domani, anzi per dopodomani. Tutto dipenderà però dall’esito del voto sull’esecutivo guidato da Enrico Letta.

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