Ciò che rimane della grande borghesia italiana è in movimento. S’intenda bene ciò che voglio dire: grande borghesia come quella attiva e operante sino agli anni Novanta – che hanno significato lo sradicamento della grande impresa pubblica italiana e di conseguenza anche di quella privata – non ne esiste più. Essa non solo si è rivelata incapace di ereditare quella pubblica tramite le privatizzazioni, ma dalla globalizzazione è stata o travolta o integrata in forma subalterna come documenta bene, da manuale, il caso Fiat e in più ridotta scala, trasformando la tragedia in farsa, il caso Mediobanca. Solo Generali resiste, ma non si può più dire che aggreghi la grande borghesia, bensì i frammenti di classi alte dilacerate dai contrasti e dalle rivalità e dai reciprochi veti.
Il declino dell’industria pubblica è stato anche quello della grande borghesia, ch’era l’essenza del privatismo, e quindi su questo punto un giorno o l’altro varrà la pena di meditare. L’integrazione subalterna anch’essa non ha funzionato in politica. Monti è stato distrutto dalla sua mediocrità, certo, ma anche dal fatto che non c’è spazio, nella frantumazione sociale crescente, per un centro neo-partitico che riesca nel mentre a esser fedele all’egemonia tedesca e altresì agli Usa, che, crisi o non crisi, l’Italia non l’hanno ancora lasciata e sono ben decisi a dir la loro e nel Mediterraneo e in un Paese con 60 milioni di potenziali consumatori.
Stare tra Germania e Usa richiede una capacità di mediazione indiscussa che al rigido Monti non apparteneva certamente. Ora, però, le critiche salgono dalle imprese, dalle piccole e medie e soprattutto da quella particolarissima società politica che è il mondo dell’associazionismo imprenditoriale, Confindustriale in testa, Rete Imprese Italia a seguire, ossia il “deritismo” fatto associazione, e poi anche Coldiretti, ossia il potentissimo mondo agricolo che non riesce però mai a far sentire la sua voce, sempre tradito in Europa da ministri imbelli e incapaci di ribaltare il potere tedesco-olandese, con i francesi a far di tutto per far da sé e quindi per favorire di fatto il duo dominante e indebolire l’Italia a vantaggio della Spagna.
Questa composita alta piccola e piccolissima borghesia, e uno o più spezzoni di rappresentanza di quella richiamata società politica, sta preparandosi a scendere in campo. Questa volta forse si fa sul serio È significativo infatti – ora che il gioco si fa duro – che Montezemolo sia scomparso e stia rinserrato nei suoi possedimenti senza proferir parola. Mentre invece Guido Barilla, l’amico Corrado Passera e Luigi Marini, potente leader degli agricoltori di origine democristiana, stanno lavorando per fare quello che non riuscì a Monti e poi a Todi: sull’asse del mondo cattolico organizzato nella rappresentanza funzionale, costruire un trampolino di lancio per non cattolici moderati atti a formare un nuovo partito a difesa della produzione italiana.
Non si può che gioire dell’iniziativa sul piano delle intenzioni sopradette, senonché per inverarle necessitano i voti di un elettorato che forse i bacini delle singole personalità e delle rappresentanze funzionali son troppo ristretti per raccogliere e da essi far scaturire rappresentanze in grado di invertire la rotta. Sia chiaro che la rotta bisogna invertirla in Europa. Invece molti di codesti benemeriti pensano che basti agire sui conti italici, illudendosi di poterlo fare senza cambiare le regole teutonico-centriche. Tutto risponde alla signora Merkel a Bruxelles, anche gli uscieri. Non a caso gli inglesi hanno fatto un passo indietro e altri ne faranno rinsaldando di nuovo il legame con gli Usa nonostante l’impasse siriano.
E poi: c’è veramente spazio per un nuovo centro? Perché non me li vedo divenir socialisti codesti signori. E questo centro per affermarsi veramente, come ci ricorda Lodovico Festa, dovrebbe, come i centri europei, inglobare e neutralizzare le destre isolando di esse le estreme. Solo il Pdl con Berlusconi (e dopo chissà) è stato in grado di far ciò. E codesti signori non mi paiono in grado di parlare alle massaie affamate e ai cassaintegrati e agli imprenditori piccoli e piccolissimi disperati, che scoperchiano il tetto dei capannoni per non pagare l’Imu che li distruggerebbe. Si va quindi verso un’ulteriore frammentazione del potere in Italia che io ho paventato nel mio ultimo libro “Chi comanda in Italia”, edito da Guerini. Ancor più si allargherà il vuoto dei poteri e del potere e il pericolo è che il governo – anche se durerà – rimanga con una base sociale sempre più ristretta appoggiato solo dal terminale del Quirinale, che in tal modo si rivelerà sempre più debole, sino a venir abbandonato dagli Usa di cui sinora gode di una fiducia quasi illimitata.
Un pericoloso divario tra Paese legale e Paese reale rischia di allargarsi senza speranza, preparando una slavina pericolosissima per la tenuta istituzionale del Paese. Odo il passo cadenzato di nuove camicie brune nazionaliste e antieuropee… Non vorrei, allora, assistere a nuovi discorsi di Obama, questa volta non al Cairo ma a Roma, dove s’ invoca una primavera senza speranza e che avrebbe come beneficiario solo un attore che non sono in grado di definire politico, ma già ben presente in Parlamento e che fa paura solo evocare – se non si è spericolati come Bersani – come attore di governo.