Una sola certezza nel gran marasma del Pdl: il 2015 rimane dannatamente lontano, e il governo Letta-Alfano continua a camminare sul filo del rasoio. Due ore di faccia a faccia fra Raffaele Fitto e il vicepremier non hanno sortito alcun riavvicinamento, e l’ultima parola rimane demandata a Berlusconi.

Fra falchi e colombe non è nemmeno tregua, è continuo scambio di segnali che i coltelli vengono affilati sempre più, da una parte e dall’altra. Agli alfaniani non è andato giù il mancato voto di una ventina di lealisti in Senato per il disegno di legge costituzionale sull’iter delle riforme. Se il governo non è caduto è solo per il provvidenziale soccorso verde della Lega, che con la sua pattuglia ha consentito di superare la soglia dei 2/3 dei voti, necessaria per evitare la possibilità del ricorso al referendum confermativo. Per Formigoni un agguato premeditato, fallito solo per una casualità. E Quagliariello era pronto a dimettersi da ministro se la votazione fosse andata male.



Al contrario, i falchi rinfacciano alle colombe un atteggiamento troppo accondiscendente verso il Pd. Il documento dei 24 senatori contro la crisi di governo è giudicato come la certificazione della debolezza del Pdl. Se la minaccia della crisi viene spazzata via dal tavolo, fra i democratici in cerca d’autore riemerge prepotente la tentazione di trattare i berlusconiani da comprimari. Ed è quanto successo con l’elezione di Rosy Bindi a presidente della commissione parlamentare antimafia e con la bocciatura della candidatura di Riccardo Villari a presidente dell’autorità portuale di Napoli.



Due schiaffi in meno di 24 ore, che hanno però contribuito a far accendere la spia di allarme anche nella testa di Angelino Alfano. Se ne aveva ancora bisogno il segretario-vicepremier, ha avuto la prova che un Pdl diviso sarebbe facile preda di un Pd che farebbe valere la dura legge dei numeri su ogni questione. 

Ecco perché Alfano sta cercando di frenare quanti fra i suoi sostenitori premono per una scissione in tempi ravvicinati: si salverebbe il governo, ma si diventerebbe satelliti di un Pd che fra 50 giorni avrà un nuovo segretario il quale potrebbe virare bruscamente la linea del partito verso le urne a primavera. E che mostra una gran voglia di seppellire le larghe intese, come dimostra l’intenzione di procedere a maggioranza sulla legge elettorale, strappando questo tema già incardinato al Senato per spostare la discussione alla Camera.



Alfano è il primo a essersi reso conto del valore dell’unità del Pdl, e lo ha spiegato anche a Fitto, con il quale però è stato impossibile raggiungere un accordo per una convivenza pacifica.

Di sicuro quello che sembrava il vincitore della partita sulla fiducia di inizio ottobre è oggi messo alle corde dalla rimonta dei falchi e da sondaggi, tanto riservati quanto impietosi, secondo i quali un partito delle colombe senza Berlusconi farebbe fatica a superare la soglia del 4%, che vale sia per il parlamento, sia per le elezioni europee del prossimo maggio.

A Fitto Alfano ha esposto la sua idea di nuova Casa delle libertà, un’alleanza ampia composta da una pluralità di partiti, dai centristi di Mauro e Casini sino a Lega, Destra e Fratelli d’Italia. Un nuovo centrodestra modello 2001, di cui Berlusconi rimarrebbe il leader, ma dove sarebbe più facile far convivere anime diverse e sempre più distanziate fra di loro come quelle che oggi convivono dentro il Pdl/Forza Italia.

L’ex ministro pugliese non è parso convinto: la pressione sua e dei lealisti è perché Berlusconi riprenda in mano il partito, anche se questo dovesse provocare lacerazioni. Per paura delle conseguenze, però, nessuno se la sente di fare la prima mossa, quindi la situazione è in stallo e si trascina in mezzo a una guerra delle cene tra i maggiorenti delle due fazioni, che si ritrovano quasi ogni sera per fare il punto sulla giornata di quella che assomiglia sempre di più a una guerra di trincea e di logoramento. 

Questo precario equilibrio potrebbe durare sino al voto sulla decadenza di Berlusconi dal Senato. Da quel momento in avanti le cose potrebbero subire una forte accelerazione. Sino ad allora anche la navigazione del governo dovrebbe continuare, pur tra mille scogli da superare ogni giorno. 

Berlusconi non ha ancora deciso il da farsi, e cambia idea di frequente. Di sicuro pecca di ottimismo chi dice che oggi il governo è al riparo da brutte sorprese sino alla primavera del 2015. L’equazione fra decadenza e crisi esiste eccome, e Maria Stella Gelmini, appartenente allo stato maggiore dei lealisti, lo ha fatto sapere con estrema chiarezza. Anche Letta è avvisato, ma muovendosi fra ben tre instabilità (quella del Pdl, quella del Pd e quella di Scelta Civica), fa fatica a parare tutti i colpi e certo con la legge di stabilità non ha entusiasmato nessuno.

Nel momento in cui il Cavaliere non sarà più parlamentare, al governo la terra potrebbe mancare sotto i piedi da un momento all’altro. Colpa di un Berlusconi ferito a morte, ma non ancora morto. Ma potrebbe essere anche Matteo Renzi, in sella al Pd poco prima di Natale, a prendersi la responsabilità di staccare a gennaio la spina alle larghe intese.