Scelta civica rischia di sparpagliarsi nell’etere come pulviscolo. Monti ha lasciato e, l’altro ieri notte, la dirigenza del partito si è lasciata con l’Udc. Di quel che resta, poi, le incomprensioni rischiano di condurre ad una vera e propria scissione. La scissione dell’atomo. Il senatore Andrea Olivero ci spiega come stanno effettivamente le cose, e il suo progetto per ricondurre le frammentazioni all’unità.



Cosa sta succedendo nel suo partito?

Fondamentalmente ci sono due correnti. Una è connessa all’idea liberaldemocratica, è capeggiata da Andrea Romano e ne fanno parte, per citarne alcuni, Pietro Ichino, Ilaria Borletti Buitoni e Gianluca Susta. In essa alcuni, e mi riferiscono soprattutto a Romano, guardano a sinistra e in particolare al mondo renziano, tanto da aver ipotizzato liste comuni per le Europee. Molti altri, invece, hanno il desiderio di individuare, assieme alla corrente popolare, una sintesi che consenta di creare un progetto alternativo ai due poli.



Ci parli dell’altra.

E’ costituita, tra gli altri, da Lorenzo Dellai, Mario Giro, Mario Mauro e dal sottoscritto. Rappresentiamo, per semplificare, la corrente popolare. Immaginiamo, cioè, un movimento collocato all’interno del Ppe, nient’affatto subordinato al Pdl, e con l’ambizione di diventare forza maggioritaria, nonché il punto di riferimento dei moderati.

Quanti siete?

Nei gruppi parlamentari siamo maggioranza al Senato e minoranza alla Camera. Nell’insieme del partito, tuttavia, siamo probabilmente la maggioranza.

Vi scinderete, o no?

Difficile dirlo adesso. Tuttavia, registro una forte volontà di ricondurre le correnti ad unità.



Chi l’ha voluta la separazione dall’Udc?

Quanti hanno ritenuto di dar seguito al giudizio, a mio avviso in parte eccessivo ed esagerato, del presidente Monti, che ha imputato a Fini e Casini la sconfitta. Sono state le componenti liberal-montiane del partito che, pur non rappresentando la maggioranza del movimento, hanno voluto imputare all’Udc le nostre difficoltà.

Quanto ha pesato il pranzo tra Monti, Mauro e Casini?

Ha pesato non poco. E non tanto perché, come si è cercato di far apparire sui media, Mauro abbia tentato un riavvicinamento con Berlusconi in chiave subalterna; chi lo conosce, infatti, sa benissimo che la rottura con Berlusconi fu pienamente consapevole e che ora il ministro non ha nessuna intenzione di fare marcia indietro. La realtà è che si è intravisto in Mauro una leadership non coordinata con quella di Monti. Può anche darsi che Monti abbia avuto legittimamente di che lamentarsi. Tutto questo, però, avrebbe dovuto portare ad un confronto, non ad un’accusa di lesa maestà.

Non potreste fondervi con i moderati del Pdl?

Credo che l’ipotesi sia plausibile, ma non in tempi ravvicinati. A quel punto, ovviamente, anche l’Udc sarebbe della partita. Deve essere ben chiaro tuttavia che non siamo minimamente interessati a ricostruire il centrodestra italiano. 

 

A cosa, allora?

Al superamento di quel modello. Dobbiamo ambire, in caso di fusione, alla costruzione di un partito popolare, o detto in altri termini, di una Cdu italiana, che, alla sua destra, abbia altre formazioni. E che, proprio come succede in Germania, in caso di necessità preferisca non allearsi con il partito che sta alla sua destra, ma con i suoi avversari, a sinistra.

 

Ci riassuma lo schema che ha in mente.

Ho in mente un Parlamento formato da una sinistra socialdemocratica, da un grande partito popolare, e da altre forze collocate alle ali estreme, per rappresentare quella larga parte dell’elettorato che non si riconosce nell’area dei moderati.

 

Quale legge elettorale sarebbe funzionale ad uno schema del genere?

Ogni legge elettorale ha i suoi difetti. Di certo, tuttavia, non è pensabile un modello bipolare che obblighi ad allearsi con tutti i soggetti possibili immaginabili. Sarebbe necessario, dunque, prevedere un premio di maggioranza che privilegi le grandi forze, a scapito di quelle minoritarie, che dovrebbero restare tali.

 

Con una nuova legge elettorale, o con l’attuale, non rischiate di venir spazzati via?

Non c’è dubbio. Non è un caso che, da 20 anni a questa parte, tutti tentino questa strada, ma tutti rimangano bruciati. E’ pur vero che, da 20 anni a questa parte, l’Italia è ferma, e nessuna forza riesce a cambiare il Paese, neanche con ampie maggioranze. 

 

Perché, a differenza di pochi mesi fa, questa volta il progetto di centro dovrebbe funzionare?

Il sistema bipolare è in crisi, nella valutazione degli italiani. Meno della metà dei cittadini ha scelto Pd e Pdl. Buona parte dell’elettorato è stata, abilmente, intercettata da Grillo. Credo, quindi, che da parte dei moderati provenga una richiesta di rappresentanza che, finora, è rimasta inevasa.

 

Avete provato a rispondere voi a febbraio, ma non ci siete riusciti.

Diciamo la verità: avevamo raccolto la sfida in tempi estremamente risicati. In tutto, avevamo avuto circa tre mesi per organizzarci. Siamo partiti, quindi, poco attrezzati e, in parte, con molte ingenuità.

 

Allora avevate con voi Monti. Ora non c’è più, e siete pure divisi. Perché il vostro risultato non dovrebbe essere ancora peggiore delle scorse politiche?

Perché, questa volta, abbiamo il tempo per costruire quella prospettiva richiesta dalla gente stessa: un soggetto nuovo, alieno agli schermi politici del passato, connotato da un riformismo deciso e vigoroso, ma legato alle istanze sociali. Intendiamo puntare, quindi, sull’economia sociale di mercato, ampliando le forme di partecipazione dei cittadini attraverso le voci degli amministratori locali e del mondo del Terzo settore.  

 

(Paolo Nessi)