Cosa comportano, esattamente, gli esiti della riunione dell’Ufficio di presidenza del Pdl? La risposta non è scontata. Perché, indubbiamente, è sempre stato Berlusconi a farla da padrone nel partito, essendo suo. E’ anche vero, tuttavia, che con il voto di fiducia al governo del 2 ottobre, quando l’ex premier fu costretto a votarsi contro, è emersa per la prima volta una componente in grado di metterlo in seria difficoltà. E se il vertice di ieri sera, disertato dai “governasti”, ha deciso l’azzeramento di tutte le cariche e il ritorno a Forza Italia, non è detto che Alfano e i suoi non si impuntino per far valere le regole che il Pdl ha pur sempre deciso di darsi. L’Ufficio di presidenza, infatti, per poter cancellare il Pdl deve ottenere la maggioranza dei due terzi del Consiglio nazionale. Comunque vada, lo strappo è stato piuttosto pesante. Ora che succede? Lo abbiamo chiesto a Fabrizio Rondolino, giornalista e scrittore.
Ora cosa fanno i ministri del Pdl e gli altri “disertori”?
Difficile dire cos’abbiamo effettivamente in mente Alfano e i suoi. Di certo, la mossa che gli conviene di più, è stare fermi.
Perché?
Anche se i falchi o i lealisti hanno cambiato etichetta al partito, e azzerato gli organismi dirigenti, resta il fatto che ci sono 24 senatori che hanno sottoscritto un documento in cui dicono che sosteranno il governo senza se e senza ma. Qualsiasi operazione di marketing faccia il centrodestra, quindi, la sostanza non cambia: se quei senatori non cambiano idea, il governo continua ad avere una maggioranza.
Lei crede che gli alfaniani si definiscano esclusivamente in rapporto al sostegno al governo?
Non c’è dubbio.
Costoro, però, sostengono di voler stare in un partito europeista, popolare e moderato, e che Forza Italia è una cosa ben diversa.
Sciocchezze. Gran parte di queste persone fa parte dei fondatori della prima Forza Italia. Mi pare che le loro obiezioni siano campate per aria. L’appartenenza alla diverse famiglie politiche non è di certo oggetto di divisione. Ci sono popolari, socialisti, democristiani e liberali sia tra i governativi che tra i lealisti, anche se, ovviamente, in percentuale variabile. Del resto, il centrodestra italiano è un unicum nel panorama europeo, perché ha ereditato l’esperienza del pentapartito. L’unico reale punto di dissenso è il sostegno o meno al governo. Che non è questione da poco. Coinvolge, infatti, anche il dopo-Berlusconi, e l’ipotesi di dar nuovamente vita o meno alle larghe intese.
Nel dopo-Berlusconi non crede che si possano ricostituire le famiglie politiche di appartenenza dei vari politici?
No, nel modo più assoluto. Le culture politiche non coincidono con la storia personale dei politici. Si tratta di movimenti storici, forze reali del Paese. Oggi, quelle culture politiche sono tramontate. Per intenderci, il fatto che Alfano, Letta e Renzi, da giovani abbiamo frequentato quel che restava della Dc, non significa nulla. Oggi, il primo fa parte della nuova destra italiana, gli altri due della nuova sinistra.
Quindi, la scissione ci sarà o no?
Non ne vedo la necessità. I governativi, forse, sono maggioranza nel gruppo parlamentare, i lealisti lo sono nel partito. E’ una situazione di stallo. Che può facilmente durare.
Anche dopo la fine di questo governo?
Se si andrà ad elezioni con un sistema proporzionale puro, può anche darsi che ciascuno decida di correre per sé. Ma, se si manterrà un meccanismo maggioritario, per le due destre è conveniente restare unite.
In commissione Affari costituzionali si sta studiando una meccanismo proporzionale, con un premio di maggioranza che, alla Camera, conferisce il 55% dei seggi a chi (partito o coalizione) raggiunge il 40% dei consensi.
Appunto: i partiti sono ulteriormente incentivati ad allearsi per raggiungere tale soglia.
Che fine farà il progetto neocentrista?
Credo che, in realtà, non sia mai esistito. A meno che non si intenda con esso la costruzione di un nuovo centrodestra a egemonia popolare in cui ci sia una minoranza berlusconiana. In tal senso, Alfano farebbe bene a rispolverare il progetto iniziale: conquistare, con i suoi, il partito. Farebbe il suo bene e quello dell’Italia, che ha bisogno di due grandi formazioni. I partiti di centro veri e propri, invece, provano ad affermarsi almeno dal ’94 ma, sistematicamente, vanno incontro al fallimento.
(Paolo Nessi)