La sovraesposizione mediatica di Renzi si prolunga da ormai due anni ed è difficilmente contrastabile. Verosimilmente, le probabilità che Gianni Cuperlo, il candidato più a sinistra, conquisti la segreteria del partito sono decisamente inferiori di quelle del rottamatore. Non per questo, tuttavia, inesistenti. Inoltre, non essendo un candidato di bandiera, ma convinto della propria battaglia, sarà interessante capire come interpreterà il proprio ruolo di capo dell’opposizione interna. Glielo abbiamo chiesto direttamente.



Lei pensa di vincere?

Sono una persona razionale. Vedo e riconosco la forza, la popolarità e il consenso che accompagnano la candidatura del sindaco di Firenze. Credo, tuttavia, che questo congresso rappresenti una grande possibilità per gli iscritti e i sostenitori del Pd. Se riusciremo a trasferire l’attenzione dalla persone ai contenuti, alle idee e all’impianto culturale che sorreggono le diverse candidature, questo sarà il primo congresso in cui gli elettori potranno scegliere il segretario sulla base della diverse piattaforme programmatiche e politiche promosse. Insomma, conosco bene i pronostici, ma confido che ci saranno delle sorprese. E’ una battaglia aperta.



Lei cos’ha in più di Renzi?

Guardi, non ho l’età per esprimere una presunzione di questo genere. 

Allora ci dica cosa propone di diverso?

Credo che il Pd resti, nonostante le recenti sconfitte, la grande risorsa per poter uscire dalla crisi e per promuovere la riscossa del Paese. Chi si candida alla sua guida, quindi, deve sapere che dovrà assumere un incarico a tempo pieno. Inoltre, occorre rimettere al centro del partito, una proposta culturale e valoriale molto forte, anche in netta discontinuità con il passato.

Di che valori parla?

Anzitutto, mi riferisco alla centralità della persona, senza se e senza ma. Dobbiamo, inoltre, riscoprire il primato di un’eguaglianza che, pur non avendo nulla a che fare con un appiattimento egualitarista, rappresenta lo strumento per valorizzare i meriti e i talenti e per scardinare un sistema consolidato di rendite, corporazioni, interessi e poteri.



C’è chi imputa il congelamento di tali rendite ai sindacati.

I sindacati hanno responsabilità, certo, ma c’è un problema complessivo di classi dirigenti. Per questo non credo che oggi il problema principale siano i sindacati. Al contrario, sono attualmente un presidio di molti diritti fortemente penalizzati. Penso, ad esempio, alla recente decisione del governo di bloccare l’indicizzazione legata all’inflazione delle pensioni a partire da quelle che sono sei volte la minima, e alla battaglia dei sindacati per impedirlo.

Oggi, quindi, di chi sono le principali responsabilità?

Delle classi dirigenti e delle élites. Non solo politiche, ma anche economiche, imprenditoriali, culturali o editoriali. Occorre rompere questo sistema di poteri intrecciati, recuperando quella centralità delle persone che è stata colpevolmente sacrificata ad altri interessi. Il ventennio che abbiamo vissuto, quindi, va archiviato. Va anche detto che se ci troviamo nell’attuale situazione, in buona parte è per colpa della destra.

 

E del Pd, no?

Dobbiamo riconoscere che c’è stato un grande deficit di coraggio nel rispondere all’esigenza di discontinuità avanzata dal Paese. Ma credo anche che ci siano dei meriti da riconoscere E conservare. Forse non saranno molti, ma l’esperienza dell’Ulivo, l’entrata nell’euro e la cultura del risanamento sono meriti storici.

 

Lei parla delle responsabilità delle élites. E D’Alema, che cos’è?

Guardi, non intendo farne una questione personalistica. Non mi appassiona questa discussione. Non voglio neanche lasciarmi coinvolgere dalla polemica su chi sono i sostenitori, tra i dirigenti storici, dei vari candidati. E’ molto più importante comprendere la portata storica dell’attuale situazione. Basti pensare che, negli ultimi 5-6 anni, gli investimenti industriali nel Mezzogiorno sono crollati nel 45 per cento e che, per la terza volta nella storia italiana (le altre due furono alla vigilia della breccia di Porta Pia, e nel 1918), nel sud i morti superano i nati. Ciò che conta, quindi, è individuare le chiavi di senso per uscire da questa situazione.

 

Sì, ma cosa pensa di D’Alema?

Credo che D’Alema, nella sua esperienza di governo, abbiamo intrapreso passi molto positivi. Penso, in particolare, al risanamento. Non è un caso che il suo ministro del Tesoro fosse Ciampi.

 

Se lei vince, il suo partito assumerà una connotazione più marcatamente di sinistra. Cosa ne sarà del governo Letta?

Non cambieremo la posizione avuta fin qui. Sosterremo lealmente il governo, incalzandolo sulle priorità che deve assumere. Mi riferisco, in particolare, alla lotta all’impoverimento del ceto medio e a quei fenomeni di povertà che stanno sequestrando parte del Paese. Metteremo, inoltre, al centro i temi del lavoro e della ridistribuzione del carico fiscale; in tal senso, mi preme ricordare che abbiamo la tassazione sul lavoro più alta d’Europa e quella sulle rendite finanziarie più bassa. Detto questo, consideriamo questa fase una parentesi all’interno della stagione consolidata del bipolarismo e, nei tempi ragionevoli  indicati dal capo dello Stato, è lecito immaginare di tornare al voto.

 

Se lei perde (ma, in fondo, anche se vince) è ipotizzabile un ticket con Renzi sul modello Bersani-Franceschini?

Non lo so, e non è un tema di discussione. Certo considero la  gestione unitaria di un partito un valore auspicabile. Attualmente, tuttavia, siamo impegnati con la campagna del congresso, e mi pare corretto ora confrontarci sul merito delle proposte alternative.

 

Lei chiederebbe a Renzi di farle da braccio destro?

Le ripeto, mi sembra un’inutile discussione.

 

Di Enrico Letta, cosa ne sarà?

Beh, bisognerebbe chiederlo a Letta.

 

Non crede che, per il suo partito, rappresenti una risorsa da spendere in ambito europeo se non, addirittura, per il Quirinale?

Non compete a me dirlo. Sarebbe presuntuoso, da parte mia, azzardare ipotesi. Che sia una risorsa non è in dubbio. Ha dimostrato, infatti, di sapere affrontare prove impegnative.

 

Se lei passa in minoranza, il Pd rischia una scissione?

No, assolutamente. Questo rischio non c’è.

 

Il “suo” Pd, con chi si alleerebbe?

Allargherà il campo del centrosinistra, recuperando un rapporto anche con le forze con cui siamo stati storicamente alleati. Dovremmo interloquire, molto più di quanto abbiamo fatto finora, anche con l’area dei movimenti, del civismo, delle associazioni che si battono per la legalità, e del volontariato.

 

E con Grillo?

Beh, mi pare che abbia scelto una linea del tutto incompatibile con la nostra, a partire dalle forte polemica con il capo dello Stato. Basti considerare la sua proposta del tutto irricevibile di impeachment per Napolitano. Inoltre, la sua teorizzazione della distruzione dei partiti, ha già lasciato una tragica traccia nella storia del nostro Paese. Detto questo, è indubbio che bisogna avere rispetto dei suoi 8 milioni di elettori, con i quali è doveroso dialogare. Ma forse dovrebbe averne prima di tutto lui stesso che, invece, tiene congelati i suoi parlamentari impedendo  loro di contribuire con utilità alla vita parlamentare.

 

Che legge elettorale propone?

Il modello più adatto per il nostro Paese è il doppio turno di collegio, che ridà agli elettori il diritto di indicare il proprio rappresentante e garantisce la governabilità certa il giorno dello scrutinio. Ma ricordo sempre che per cambiare la legge elettorale serve una maggioranza in Parlamento.