Fondamentalmente, sono tre i soggetti che si stanno occupando della riforma delle legge elettorale: il Pd, il Pdl e Renzi. I primi due stanno cercando di trovare una sintesi in commissione Affari costituzionali, al Senato. Il sindaco di Firenze, invece, esterna. «La legge elettorale che funziona è quella dei sindaci, dove dai a uno il compito di rappresentarti e se sbaglia va a casa», ha dichiarato alla Leopolda mentre i partiti (pure il suo) stavano circoscrivendo i pochi punti condivisi (sistema proporzionale corretto da un premio di maggioranza attribuibile al raggiungimento di una soglia elevata) e i molti nodi da risolvere (doppio turno, preferenze, collegi plurinominali, introduzione del sistema spagnolo). Con tutto ciò, il sistema di elezione dei sindaci non ha nulla a che fare. Doris Lo Moro, relatrice per il Pd della legge elettorale in commissione Affari costituzionali, ci spiega perché.



Anzitutto, perché la legge va cambiata?

Attualmente, vige un sistema proporzionale corretto da un premio di maggioranza che, di fatto, lo rende maggioritario. Su tale premio, la Corte costituzionale ha già espresso diverse obiezioni e il 3 dicembre si pronuncerà sulla sua legittimità. Potrebbe non entrare nel merito, limitandosi a esprimere un orientamento di fondo e un invito a riformare. Comunque vada, è ormai evidente a tutti che quel premio deve essere abolito.



Ci spieghi.

Deforma in maniera elevata il risultato elettorale, inficiando il principio della rappresentanza popolare. Prevede, infatti, alla Camera, l’attribuzione del 55% dei seggi al partito o alla coalizione che abbiano preso anche un solo voto in più delle altre forze politiche. Siccome, da tempo, nessuno riesce ad avvinarsi neanche lontanamente ad una percentuale del genere, lo scarto tra i voti ottenuti e il numero di parlamentari garantiti dal premio è diventato inaccettabile.

Come intendete risolverla?

Stiamo ipotizzando di attribuire il premio di maggioranza esclusivamente alla forza che raggiunga una soglia vicina al 40% dei consensi. E, su questo, si è pressoché tutti d’accordo. Tuttavia, dato che è probabile che nessuno riesca a guadagnare un consenso del genere, per evitare di trovarci con un proporzionale puro (tale sarebbe il meccanismo se nessuno raggiungesse la soglia), noi del Pd abbiamo proposto l’introduzione di un secondo turno, in cui si fronteggerebbero le due forze più votate al primo.



Ma il Pdl non vuole il doppio turno, perché sostiene che finché non sarà superato il bicameralismo perfetto c’è il rischio di avere due maggioranze eterogenee.

Indubbiamente, un rischio del genere è astrattamente plausibile. Tuttavia, nella realtà, le maggioranza diverse sono un fenomeno estremamente raro. Quel che è certo, è che non intendiamo considerare la loro obiezione come campata in aria. Non la condividiamo, ma ne discuteremo in commissione. Tenendo conto che registriamo, nel Pdl, una tendenza ad introdurre un meccanismo proporzionale, mentre il Pd è schierato nettamente in favore del maggioritario.

 

Come Renzi. Lui, in particolare, ha proposto di fare, a livello nazionale, una legge come quella dei sindaci.

Si è trattato di una semplificazione estrema. Renzi non ha ancora assunto una posizione concreta. Infatti, ha annunciato che presto proporrà la sua legge elettorale. Ma non lo ha ancora fatto. Certo, lavorando da tempo sulla riforma, mi rendo conto che non si può parlare per slogan.

 

Mettiamo che lui intendesse proprio dire che per le Politiche si debba adottare il sistema elettorale vigente nei comuni superiori ai 15mila abitanti.

Non avrebbe molto senso. A livello nazionale non c’è nessun “sindaco” da eleggere. Finché non cambiamo, attraverso una modifica costituzionale, la forma di governo, il presidente del Consiglio non è eletto. Anche nel caso in cui un partito abbia raggiunto la maggioranza, l’attribuzione dell’incarico da parte del presidente della Repubblica alla persona indicata come leader di coalizione (l’indicazione del quale non ha alcun valore legale, ma rappresenta una semplice prassi) non è per nulla scontata. Basti pensare che il Pd aveva indicato Bersani, ma il presidente del Consiglio è Letta. Inoltre, quando il sindaco si dimette decade il Consiglio comunale, quando si dimette il premier il Parlamento resta in carica. Infine, un modello per eleggere qualche decina di consiglieri evidentemente non può valere nel caso di 945 parlamentari. In ogni caso, ciò che trovo veramente del tutto non condivisile, è un’altra cosa.

Ci dica.

Renzi ha detto che, se non si riuscirà a varare una legge elettorale idonea, allora è meglio tornare a votare con l’attuale sistema. Così facendo, ha contraddetto e capovolto tutto quello che il Pd, ma non solo, ha fin qui sostenuto. Ovvero, che occorre minimizzare i danni e che con il porcellum non si dovrà più tornare a votare in nessun caso. Ora, dato che in commissione, se non dovesse passare l’ipotesi del doppio turno, non esiste attualmente una linea subordinata o, per intenderci, un piano B, trovo piuttosto allarmante che Renzi, da  una riunione politica, ci fa sapere che per lui va bene anche la legge Calderoli.

 

(Paolo Nessi)

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