Nel corso del suo intervento al Senato, il presidente del Consiglio Enrico Letta ha annunciato che attuerà la riforma della giustizia. “Il nostro lavoro – ha dichiarato il premier – si baserà sulle importanti indicazioni contenute nella relazione del gruppo di saggi che furono insediati da Napolitano nel marzo 2013, prima della formazione del governo”. Per l’onorevole Danilo Leva, responsabile giustizia del Partito Democratico, “quando affermato da Letta non avrà ricadute ad personam nei confronti di Berlusconi. Il premier non intendeva nulla del genere, e comunque il Pd non lo consentirebbe. E’ arrivato il momento di attuare a una riforma della giustizia senza pensare a Berlusconi”.



Onorevole Leva, qual è il senso del passaggio del discorso di Letta dedicato alla riforma della giustizia?

Letta ha parlato di interventi per consentire al sistema Paese di recuperare competitività. Tra questi ci sono quelli che riguardano la giustizia civile, per recuperare i ritardi rispetto all’Europa. Innanzitutto quindi il livello di arretrati, la lunghezza dei tempi dei processi. Oggi un cittadino per poter arrivare a una sentenza impiega circa nove anni, per non parlare di un imprenditore che per recuperare un credito impiega ancora più tempo. Si parte quindi dalla riforma della giustizia civile perché riorganizzare il sistema giudiziario significa consentire all’Italia di recuperare competitività e di essere un maggiore attrattore di investimenti stranieri.



In che modo è possibile snellire i processi?

Il Pd ha avanzato nei mesi scorsi una proposta che consiste nel superare la frammentarietà dei riti che oggi attanagliano il processo civile e affermare in Italia un modello del rito del lavoro che ha dimostrato nel tempo caratteristiche importanti come quelle della speditezza e dell’efficacia. L’altra grande sfida è quella dell’informatizzazione della giustizia. Il processo telematico in Italia si è diffuso fino ad ora soltanto a macchia di leopardo. Ci vogliono interventi in grado di diffondere questo sistema in ogni angolo del Paese, anche se ci sono stati già dei buoni esempi in questa direzione.



Quando affermato da Letta mercoledì avrà ricadute ad personam nei confronti di Berlusconi?

No, non avrà ricadute di questo tipo. Non si può sovrapporre la vicenda personale di Berlusconi alla sfida delle riforme. Quanto è avvenuto mercoledì mette la parola fine a un’abitudine degli ultimi 20 anni, l’obiettivo cioè di una riforma che avesse come finalità unica l’impunità di una persona. Abbandoniamo questa stagione e inauguriamone una che vedrà al centro le cose che servono all’Italia e al sistema giudiziario per ritornare a funzionare, sia sul piano civile sia su quello penale. La Commissione Ue potrebbe aprire una procedura d’infrazione perché l’Italia non ha ottemperato alla direttiva sulla responsabilità civile dei magistrati.

 

Lei quale soluzione auspica?

Ci vuole la consapevolezza che stiamo discutendo di un tema molto delicato che non può essere liquidato con due parole. Quando si parla della funzione giurisdizionale a essere a tema è qualcosa di particolare, che non è ravvisabile e riscontrabile in nessuna altra funzione e ambito. La funzione giurisdizionale è alla base delle garanzie per i cittadini. La legge Vassalli sulla responsabilità civile dei magistrati entrata in vigore nel 1988 non ha però evidentemente funzionato. Lo dicono i numeri, e questi 25 anni di vigenza della legge sono sotto gli occhi di tutti. La legge va riformata agendo sul meccanismo di filtro previsto dalla stessa legge, che è farraginoso. Vanno consentite e implementate le possibilità di rivalsa dello Stato nei confronti dei magistrati che vengono condannati.

 

(Pietro Vernizzi)