La speranza che sia la volta buona potrebbe non rimanere inevasa. Gli sviluppi avviati dalla fiducia al governo Letta, quando per la prima volta Berlusconi è stato (si è) messo in minoranza nel suo stesso partito, potrebbero sortire esiti felici. Almeno, per chi ritiene che il centrodestra debba finalmente trasformasi definitivamente in una forza moderata, popolare e ed europea. Abbiamo chiesto ad Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, che scenari si prefigurano.



Partiamo dall’episodio in cui l’ex premier ha deciso, all’ultimo, di votare la fiducia a Letta. E’ stato così importante?

Sì, perché è stato realmente messo in minoranza. E sulla più politica delle questione: far cadere o meno il governo che il Pdl stesso sosteneva.

Ora che succede?

O, cosa che io ritengo più probabile, la classe dirigente emersa in questa battaglia parlamentare (che ha vinto) riuscirà a guidare il Pdl con l’accordo più o meno esplicito di Berlusconi o, in alternativa, darà vita ad una formazione politica nuova.



Le colombe resteranno nel Pdl per evitare di fare la fine di Fini?

C’è una profonda differenza tra le due vicende: Fini voleva far cadere il governo di Berlusconi e produrre un atto che portasse alla fine traumatica della legislatura. Alfano ha impedito che cadesse il governo; Fini era, quindi, tenuto ad andar via. Alfano può ragionevolmente affermare che devono andarsene quelli che volevano far cadere il governo; Fini non poteva più sentirsi a casa sua. Alfano sì.

Che meccanismi si devono innescare affinché i moderati vincano la propria battaglia?

E’ necessario che pongano un problema politico, ribadendo la loro contrarierà alla trasformazione del Pdl in Forza Italia. Non c’è occasione migliore di questa per chiedere che il partito si doti, finalmente, di regole democratiche, meccanismi congressuali e che le decisioni sulle sorti del governo non si prendano la sera a casa del leader, con quelli che casualmente sono andati a trovarlo dopo cena per il caffè. In tal senso, la chiave per restare in una posizione di forza ed evitare una deriva estremista, consiste nel continuare a sostenere l’esecutivo. La sostituzione di Brunetta rappresenterebbe, da questo punto di vista, un segnale molto importante.



Perché proprio lui?

Perché, in questi mesi, ha guidato il gruppo alla Camera come se fosse all’opposizione, continuando a ricattare l’esecutivo. La sostituzione o la rimozione degli altri falchi in posizioni di rilievo si esaurisce, invece, nelle dinamiche interne al partito, di cui agli elettori interessa ben poco. Insomma, qualche “estremista” c’è in qualunque formazione. Cosa ben diversa è collocarlo a capo del partito in Parlamento.

 

Il partito da lei descritto potrebbe fondersi con l’Udc e Scelta civica e dar vita al Ppe italiano?

Non dimentichiamo che il Pdl è tuttora nel Ppe. Se ne è allontanato nel 2011, a causa delle polemiche che Berlusconi ha innescato sull’euro in ragioni delle sue difficoltà interne. Detto questo, un Pdl ripulito dei suoi elementi di estremismo potrebbe benissimo stare in coalizione con Monti e Casini. Si tratterebbe dell’alleanza più naturale possibile. Ciò non rappresenterebbe un ritorno al centrismo, ma la nascita di uno dei due poli di un bipolarismo maturo. La fusione vera e propria, invece, potrebbe verosimilmente avvenire tra le colombe fuoriuscite dal Pdl (cosa che reputo improbabile) e i partiti centristi.

 

In questo processo, quanto può essere ancora determinante Berlusconi?

Nonostante abbia perso i propri diritti di elettorato passivo e sia stato politicamente sconfitto, mantiene un appeal elettorale non indifferente, che potrebbe aumentare se i suoi avversari compissero gli errori del passato. Sulla strada del rinnovamento del centrodestra, Berlusconi può rappresentare un ostacolo elettoralmente insormontabile, o il fautore di questo processo se si deciderà a fare la cosa giusta.

 

Come sta cambiando, invece, la sinistra?

Renzi ha capito che chiunque si candidi a leader del Pd e voglia costruirsi una figura da potenziale premier deve intercettare quella carica di antiberlusconismo e di ansia di rinnovamento che tuttora, nella base, è molto forte. Partito come il campione della destra e accusato di essere una Thatcher in  pantaloni, è oggi acclamato dalle folle delle feste dell’unità perché si presenta come colui che combatte il berlusconismo più di Letta. Una posizione a rischio.

 

Perché?

Perché regge finché esiste il berlusconismo. Se, nel frattempo, Letta con la sua azione diplomatico-politica sarà riuscito a liberarsi dell’ipoteca di Berlusconi sulla politica italiana, la spinta di Renzi sarà destinata a scemare. La Giunta del Senato ha dichiarato decaduto l’ex premier. Se anche il Senato ratificherà la decisione, l’elettorato del Pd riconoscerà a Letta di esser stato inflessibile, di non aver trattato alcune forma di scambio e di aver determinato le condizioni affinché nel Pdl si producesse una rivolta contro chi voleva legare la vicenda giudiziaria e quella politica.

 

Comunque vada, non crede che il Pd sia destinato a subire a lungo il dualismo Letta-Renzi?

Il dualismo fa parte del destino del Pd. Tuttavia, se i due si dimostreranno più intelligenti dei predecessori, e riconosceranno di avere tutto il tempo a disposizione per fare persino il premier a turno, sapranno individuare una strategia che potrebbe cambiare la vita politica italiana. Sono due personalità talmente diverse per tradizione e cultura (non vengono da sinistra, e hanno la forma mentis da uomini di governo) da quelle che hanno finora guidato la sinistra italiana che potrebbero addirittura invertire la tradizionale inerzia del sistema politico italiano, in cui il centrodestra è sempre stato maggioritario e il centrosinistra minoritario.

 

(Paolo Nessi)