Lealisti. Il termine non è dei più felici. Tuttavia, a dispetto dei sinistri figuri che evoca, quanti hanno accettato di farsi definire così non sono neppure la fazione del partito più belligerante. Anzi: ci tengono a sottolineare che, pur distinguendosi dagli alfaniani, sono cosa ben diversa dai falchi. Loro, semplicemente, restano berlusconiani. E credono che Raffaele Fitto abbia fatto bene a porre la questione del congresso. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Francesco Nitto Palma, presidente della commissione Giustizia della Camera e, appunto, lealista.



Partiamo dal documento sottoscritto da un centinaio di parlamentari del Pdl, tra cui la Gelmini, la Carfagna, e Fitto.

Quel documento iniziava con “Viva Berlusconi!” e finiva con “Viva Berlusconi!”. Insomma, ribadiva quali erano i punti programmatici della campagna elettorale, ma niente di più.

E quindi?

Guardi, nella mia vita politica mi sono sempre e solo interessato dell’attività parlamentare o di governo. Le questioni di partito mi sono sempre state estranee. Detto questo, credo che oggi un po’ di chiarezza, dopo le emozioni degli ultimi giorni, non guasti.



Chiarezza su cosa?

Noi cosiddetti lealisti partiamo anzitutto da due capisaldi: la leadership resta nelle mani di Berlusconi; è, inoltre, necessario scongiurare a tutti i costi la scissione e preservare l’unità del partito. Detto questo, ci sono dei problemi che riguardano la linea politica: in che termini la riforma della giustizia va riproposta? Come affrontiamo alcuni temi quali la disciplina sulle unioni di fatto o il testamento biologico? Su tutto questo si può e si deve aprire un dibattito interno al partito.

Fitto ha proposto un congresso.

E’ la sede naturale in cui si discute la linea politica, e si esprimono un disegno e una prospettiva. Non di certo per gestire l’immediato, ma per interpretare il medio-lungo periodo. Certo, se indirlo rischia di trasformasi in una conta fratricida, benissimo: possiamo attendere qualche tempo. Ma va fatto comunque. E’ un passaggio ineludibile.



Il congresso servirà anche per eleggere il segretario?

Quando si arriverà all’appuntamento, decideremo.

L’eventuale nuovo segretario rappresenterà il superamento del berlusconismo?

No, lo ripeto: la leadership di Berlusconi non è in discussione. Resta lui il presidente.

 

Un presidente che non può metter piede in Parlamento.

Che ci entri o no, è un problema importante esclusivamente sul piano personale. Sul piano politico è irrilevante. Chi pensa di mettere in discussione il ruolo di una persona che è in grado di raccogliere il consenso di milioni di persone, e di portare in due mesi un partito che era dato al 12 per cento quasi alla vittoria, gioca di fantasia.

 

Parlava del rischio di scissione.

Diciamo che, per quanto mi riguarda, va scongiurata a tutti i costi. Il rischio può, eventualmente, dipendere da forme di comunicazione interne provenienti non tanto dalle persone più autorevoli del partito, quanto da altre, vicine alle prime, che possono esagerare con il linguaggio; oppure, ci sarà se non riusciremo ad avere un confronto sereno. Quindi, è opportuno raffreddare il clima.

 

Fitto è la maschera di Verdini o la longa manus di Berlusconi come dice qualcuno?       

Pensare questo è offensivo per Fitto. Nonostante la giovane età può considerarsi un politico di lungo corso: a soli 43 anni è già stato presidente della Puglia e ministro per gli Affari regionali. Di conseguenza, credo che sappia prendere da solo le proprie decisioni.

 

Lei avrebbe agito in maniera diversa da Alfano sulla questione di fiducia in Senato?

Nei due giorni che hanno preceduto il voto di fiducia, Berlusconi è stato molto indeciso sulla strada da prendere. I pro e i contro erano molteplici. Nei discorsi precedenti, infatti, aveva sempre tenuto presente l’incidenza che un voto di sfiducia avrebbe sortito sulle sorti del Paese. Dopo di che ha ascoltato il partito. Una parte era favorevole alla fiducia, un’altra alla sfiducia, e un’altra ancora all’uscita dall’Aula. Alla fine, ha assunto una decisione che reputo positiva. 

 

(Paolo Nessi)