Con un messaggio rivolto a entrambi i rami del Parlamento, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha deciso di sottoporre a senatori e deputati “con la massima determinazione e concretezza una questione scottante, da affrontare in tempi stretti nei suoi termini specifici e nella sua più complessa valenza. Parlo della drammatica questione carceraria”. Una vicenda sulla quale è subito intervenuto il capogruppo del Pd alla Camera, Roberto Speranza, secondo cui “le vicende di Berlusconi non hanno a che fare con il problema sollevato dal Capo di Stato. Se qualcuno lo pensa se lo tolga dalla testa”. Ilsussidiario.net ha intervistato Stelio Mangiameli, professore di diritto costituzionale nell’Università di Teramo.



Ritiene che il messaggio di Napolitano abbia anche a che vedere con l’affidamento di Berlusconi ai servizi sociali?

No, il messaggio di Napolitano non ha nulla a che spartire con la vicenda di Berlusconi e la ragione è molto semplice: i tempi non coincidono. Ammesso che ci sia un’iniziativa del governo, l’iter di una eventuale legge sulla questione carceraria sarà lungo e prima di sei mesi non approderà a nessun risultato. Quando la nuova norma sarà emanata, Berlusconi avrà già scontato più di metà della pena. In ogni caso c’è l’intenzione politica del Partito Democratico di escludere da qualunque provvedimento di clemenza il reato di frode fiscale per il quale è stato condannato il Cavaliere. Il presidente della Repubblica non ha quindi certamente parlato per aiutare Berlusconi, ma piuttosto per rispondere a un problema oggettivo.



C’è invece un legame con la questione dell’immigrazione clandestina riportata ai clamori della cronaca dal naufragio di Lampedusa?

Per quanto riguarda i superstiti del naufragio di Lampedusa, il problema è più di interpretazione del diritto che non di approvazione di nuove leggi. Se gli immigrati approdati sono in una situazione di persecuzione politica, hanno diritto a uno status di rifugiati e all’assistenza anche economica come rifugiati politici. La conseguenza sarà che non potranno essere considerati come clandestini, e dovrebbe quindi venire meno automaticamente l’imputazione penale. Il fatto che i giudici li abbiano iscritti nel registro degli indagati per reato di clandestinità significa che secondo loro non hanno diritto a questo status. Io non escludo che si voglia utilizzare questa vicenda per modificare la Bossi-Fini o per eliminare il reato di clandestinità. Resta il fatto che se si tratta di rifugiati politici ci troviamo in una situazione completamente diversa.



Qual è quindi il significato politico del messaggio di Napolitano?

Il fatto che Napolitano abbia voluto formalizzare il messaggio come previsto dall’articolo 87 della Costituzione significa che le Camere devono quantomeno impegnarsi in un dibattito sui suoi contenuti e approdare o a una risoluzione o a una mozione. Di fronte a un messaggio formale del presidente della Repubblica, i due rami del Parlamento sono in qualche modo in dovere di trovare una soluzione. Napolitano si era già espresso in modo informale ma le Camere non se ne erano occupate, ora invece saranno tenute a farne una valutazione con un dibattito.

 

Perché per Napolitano la questione delle carceri è così importante?

Nel nostro Paese esiste effettivamente un’emergenza carceri. L’Italia avrebbe bisogno di circa 80mila posti carcerari, mentre nella realtà ne mancano 20mila. Il problema va risolto in un modo o nell’altro. Una soluzione potrebbe essere la costruzione di nuovi carceri, oppure trovare pene alternative che non creino allarme sociale come l’indulto e l’amnistia. Queste due soluzioni sono infatti percepite dai cittadini come un’ingiustizia, in quanto consentono a persone che non si sono emendate attraverso il carcere di ritornare a delinquere come facevano prima. Ciò crea una tensione sociale e una domanda di sicurezza maggiore, con pesanti effetti elettorali per chi approva norme di questo tipo.

 

Lei quali soluzioni propone quindi?

Si può pensare a forme diverse dalla detenzione, incrementando quanto più possibile l’utilizzo di pene alternative in modo da compensare l’esigenza di giustizia con quella di un carcere più umano.

 

(Pietro Vernizzi)

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