Sarà che di fatto si tratta del primo vero congresso della Lega Nord in oltre vent’anni di vita, visto che i precedenti erano stati piazzati a scatola chiusa, all’insegna dell’uomo solo al comando; ma all’appuntamento di metà dicembre il Carroccio arriva con vistose sbandate, e con un carico di polemiche che sembrano riproporre i vecchi vizi dei contestati partiti romani.



Le cronache di queste settimane dai vari angoli della Padania parlano di regole studiate a tavolino per favorire questo e danneggiare quello, urne blindate con un voto sostanzialmente palese, candidature fasulle promosse per sabotarne altre, assenza di reale dibattito e confronto, denunce di brogli, e via elencando. Con il rischio che, chiunque risulti alla fine il vincitore, si riduca a un segretario dimezzato. E in ogni caso con un nome in pratica già designato grazie alla benedizione di Bobo Maroni: sarà Matteo Salvini a prendere in mano il partito, prevalendo sugli altro quattro sfidanti, qualcuno dei quali potrebbe anche ritirarsi prima delle votazioni.



La vera curiosità riguarda semmai uno dei quattro, visto che gli altri (Manes Bernardini, Giacomo Stucchi e Roberto Stefanazzi) sono semplici comparse. Il riferimento va naturalmente a Umberto Bossi, che come il suo sodale Berlusconi non vuole saperne di ritenere conclusa la propria stagione, e che continua a essere al centro di aspre polemiche interne. A ben vedere, sono proprio queste a tenerlo in vita, politicamente parlando: sfugge ai più che le vere critiche al personaggio non dovrebbero riguardare questioni tutto sommato marginali, come la subalternità al cerchio magico, l’allegra gestione dei fondi, il deleterio nepotismo di famiglia.



Il vero nodo da contestare a Bossi è semmai il suo palese fallimento politico: in oltre vent’anni di dominio assoluto del partito, non ha portato a casa un’oncia del risultato primario legato alla ragione fondante del Carroccio, autonomia o federalismo che la si voglia chiamare. Ha condizionato a lungo i governi, in cui ha occupato ministeri di primo piano, ma è rimasto sostanzialmente subalterno alle scelte e agli interessi del suo amico Berlusconi. Ha impresso al partito svolte & giravolte da capogiro. Ha imposto la propria linea senza mai consultare nessuno, e l’ha sorretta a base di raffiche di espulsioni. Soprattutto, ha deluso le aspettative di un elettorato che aveva garantito alla Lega un sostegno a doppia cifra: nel febbraio scorso, il partito si è ritrovato con 1 milione 600mila voti in meno. E con un’autentica frana nella sua prediletta Padania: meno 61 per cento a Nordest, meno 49 a Nordovest.

Il punto è che, a fronte di questo disastro, la gestione Maroni è rimasta evanescente, del tutto incapace di avviare un reale recupero di consensi. In tutti i sondaggi anche recenti, il Carroccio rimane inchiodato tra il 3 e mezzo e il 4 e mezzo per cento; e si fa notare più che altro per le sparate verbali dei suoi grandi e piccoli pasdaràn.

Un deleterio esercizio, quest’ultimo, in cui non ha mancato di esibirsi anche il prossimo segretario designato: Salvini non ci va morbido, con le polemiche. Ieri chiedeva carrozze separate per gli immigrati nei tram di Milano, e attaccava violentemente l’allora ministro Fornero (“barbona, se passi da Pontida la Lega ti prende a calci in c…”); oggi rincara sparando a palle incatenate sul ministro Kyenge. Più istituzionale sarebbe stato il profilo di Flavio Tosi; ma il personaggio rischia una sovraesposizione, e non può essere considerato l’uomo giusto per tutti i ruoli: sindaco di Verona, segretario della Liga Veneta, candidato alle primarie del centrodestra, magari in alternativa a Luca Zaia per la presidenza del Veneto nel 2015… 

Il fatto è che i tempi stringono: nella tarda primavera si terranno le europee, dove il voto è totalmente proporzionale, e da sempre rappresenta per i partiti l’occasione per contarsi. Per il neo segretario la sfida risulta ardua; e un risultato deludente del Carroccio rischierebbe di compromettere il suo incarico fin dalle prime battute.

Dunque, il quadro risulta confuso e precario: il congresso, in tal senso, potrebbe rivelarsi solo un ulteriore passo della difficile transizione avviata dopo l’accantonamento di Bossi. Rendendo di breve ed effimera durata la Lega secondo Matteo.