Parlare di Pd, ormai, per lo più significa parlare di Renzi. E Renzi, chattando per un’ora con i suoi followers su Twitter, ha dipinto un Pd ben distante dalla sinistra a cui gli elettori, i militanti e i dirigenti si erano abituati: il sindaco di Firenze, in particolare, ha cannoneggiato la Cgil, storico azionista di maggioranza del centrosinistra, accusandola di rappresentare ormai solo gli interessi dei pensionati; per l’ennesima volta, inoltre, ha duramente criticato l’esecutivo di Enrico Letta, che è pur sempre suo collega di partito, affermando in sostanza che, per star lì a fare nulla, forse è meglio che se ne vada a casa. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Bruno Manfellotto, direttore de L’Espresso.
Cosa ne pensa delle ultime esternazioni di Renzi?
Le sue mosse mi sembrano coerenti con la strategia adottata finora. Il suo giudizio sul governo è sempre stato chiaro e, d’altro canto, nello stesso Pd ci sono due anime: quella favorevole alle larghe intese espressa, ovviamente, da Letta, e quella contraria, rappresentata appunto da Renzi.
Eppure, fino a non molto tempo fa, il suo atteggiamento nei confronti del governo sembrava più conciliante. Non trova che si sia radicalizzato almeno dalle richiesta di dimissioni del ministro Cancellieri in poi?
Mi pare che, ormai da tempo, da un lato continui ad affermare che sosterrà con lealtà il governo mentre, dall’altro, ne critica ogni scelta. Insomma, le sue operazioni vanno interpretate nell’ottica di una campagna elettorale anticipata. Per lui, prima si va a votare meglio è. Le affermazioni sulla Cancellieri sono probabilmente finalizzate a intercettare quella fetta di elettorato che non ha digerito la vicenda del ministro della Giustizia.
Perché, secondo lei, Renzi ha scaricato la Cgil proprio durante la campagna elettorale per le primarie?
C’è da dire che, in effetti, la Cgil ha al suo interno una nutrita presenza di pensionati. E’ vero, inoltre, che tende a difendere chi è già protetto, mentre non riserva le stesse attenzioni ai lavoratori precari privi di qualsivoglia tutela contrattuale. Ecco, costoro sono milioni, e votano. Renzi ha capito che sarebbe illogico lasciare che sia Grillo, la Lega, o l’astensionismo a intercettare questa enorme base elettorale. I ragionamenti di Renzi valgono per la conquista della segreteria come per la campagna elettorale per le Politiche dove, con ogni probabilità, sarà il candidato premier del centrosinistra.
In caso di vittoria a mani basse, la scissione a sinistra (o verso il centro) è un’ipotesi verosimile o si tratta di una speculazione giornalistica?
Sono gli stessi protagonisti del Pd a non escludere la scissione. Tra tutti, cito D’Alema che, in alcune dichiarazioni rese a Marco Da Milano per il suo libro e pubblicate sull’Espresso, ha fatto presente che la spaccatura è un’opzione contemplata; tuttavia, può non essere semplicemente una possibilità concreta, ma anche un messaggio ben preciso lanciato a Renzi, sia per negoziare eventuali spartizioni future che per avvertire che non è il caso di tirare troppo la corda.
Cosa potrebbe rendere più probabile la rottura?
La Corte costituzionale, il 3 dicembre, potrebbe aver accolto le obiezioni di costituzionalità sulla legge elettorale avanzate dalla Cassazione e, di conseguenza, pronunciarsi dichiarando illegittima parte del Porcellum. Con ogni probabilità, in particolare, farà in modo che decada il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza. Senza quel premio, tuttavia, la legge Calderoli altro non è che un proporzionale puro. A quel punto, se i partiti non riusciranno a riformare in tempi rapidi la legge, gli appetiti scissionisti aumenteranno. Ciascuno vorrà accaparrarsi la sua dose di seggi e finanziamenti elettorali.
Il proporzionale renderebbe verosimile anche una scissione dei popolari del Pd?
Indubbiamente, le probabilità aumenterebbero.
Tornando a Renzi, crede che si ingegnerà per far cadere il governo e andare alle urne anticipatamente?
Renzi accelererà sulle elezioni anticipate esclusivamente quando ci sarà una predisposizione positiva da parte del capo dello Stato rispetto allo scioglimento delle Camere. Tale predisposizione ci sarà esclusivamente quando, in un modo o nell’altro, il Paese disporrà di una legge elettorale nuova con cui poter andare a votare. Resta da capire, quindi, come si orienterà la Consulta. Se il 3 dicembre dichiarerà il ricorso irricevibile, toccherà al Parlamento riformare il Porcellum.
Se Renzi farà cadere il governo di Letta, come evolverà il rapporto tra i due?
Non so se i due troveranno mai un accordo. Di sicuro, è loro interesse farlo. Sanno entrambi che i prossimi vent’anni saranno protagonista della scena politica e in un modo o nell’altro devono trovare il modo per convivere.
(Paolo Nessi)