Se non le ragioni ideali, per lo meno il buon senso o, per meglio dire, un semplice calcolo di opportunità aritmetica dovrebbe indurre il Pdl a non scindersi; una delle forze risultanti rischierebbe di finire alla deriva, l’altra resterebbe schiacciata su posizioni estremiste. Nelle ultime ore, si è prodotto un avvicendarsi compulsivo di vertici e riunioni per scongiurare il peggio. Berlusconi ha visto entrambe le fazioni in campo, nella speranza di sedare i bollenti spiriti. Il problema è che il motivo dello scontro è lui stesso. Ormai da tempo, infatti, è chiaro che non accetterà l’espulsione dal Parlamento senza colpo ferire. Un’eventuale scissione, tuttavia, potrebbe verificarsi molto prima di quel voto. Addirittura, prima del Consiglio nazionale del Pdl che dovrebbe ratificare il ritorno a Forza Italia. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Luciano Ghelfi, cronista del Tg2.
Quante chance ha il Pdl di non scindersi?
La scissione, in realtà, non conviene a nessuno. La somma delle due forze distinte sarebbe inferiore ai voti ottenuti dal Pdl unito. I moderati, inoltre, si troverebbero a sostenere il governo senza essere più determinanti come oggi, mentre l’ala lealista resterebbe del tutto fuori dalla stanza dei bottoni. L’imperativo, in ogni caso, è evitare una riedizione del “Che fai mi cacci?” di Fini. Berlusconi è il primo ad essere impegnato in questo sforzo. Anche perché l’eventuale scissione avverrebbe contro di lui. Detto questo, credo che comunque vada, essa sia inevitabile.
Perché?
Le posizioni di falchi e colombe sono del tutto inconciliabili. La questione, finora, è stata semplicemente rimandata. Dando per scontato che Berlusconi si troverà a fare i conti con la decadenza, il sostegno o meno all’esecutivo sarà questione dirimente per la tenuta del partito.
Berlusconi non potrebbe decidere in extremis di non far cadere il governo in caso di voto favorevole alla decadenza?
Non credo. Di fatto, è praticamente impossibile. L’ex premier considera la decadenza un’onta inaccettabile. Non è disposto a lasciarsi buttare fuori dal Parlamento. E che questo, prima o poi, accada è inevitabile. Oltre al voto del senato, c’è anche la pena accessoria dell’interdizione per due anni dai pubblici uffici che gli è stata comminata dalla Corte d’Appello di Milano.
Se il Parlamento allungasse i tempi, in modo da rendere il pronunciamento della Cassazione sulla sentenza della Corte d’Appello successivo al voto sulla decadenza, Berlusconi decadrebbe per effetto della legge, e non più per una decisione dell’Aula. Anche in quel caso considererebbe l’estromissione dal Parlamento un’onta?
Nelle passate legislature, in casi analoghi il Parlamento, effettivamente, ha temporeggiato. Questa volta, tuttavia, entra in ballo la pressione dell’opinione pubblica sul Pd e sull’M5S perché a Berlusconi non venga data una concessione del genere. Anche se l’operazione riuscisse, Berlusconi si sentirebbe in ogni caso spazzato via per ragioni giudiziarie.
I due partiti derivanti dalla scissione, come si rapporteranno?
Berlusconi cercherà di capitalizzare al massimo la sua collocazione all’opposizione. Non perderà occasione per criticare le politiche economiche del governo e recuperare consensi. Non è escluso, in ogni caso, che il partito di Berlusconi, in futuro, possa allearsi con i moderati del Pdl. Già adesso notiamo una situazione analoga: il Pdl è al governo, Fratelli d’Italia all’opposizione. Eppure, correranno uniti alle prossime elezioni e lo hanno fatto alle scorse. Lo scenario futuro, quindi, potrebbe vedere gli alfaniani al governo, Berlusconi e Fratelli d’Italia all’opposizione e, alle urne, tutti e tre uniti. D’altra parte, a sinistra la situazione non è così diversa: il Pd e Sel erano coalizzati, e nonostante le posizioni distinte rispetto all’esecutivo, lo saranno anche in futuro.
(Paolo Nessi)