Le tensioni nel Pdl che hanno portato alla scissione di ieri sera tra Silvio Berlusconi e Angelino Alfano, le liti a distanza dei leader del Pd che si stanno preparando alle primarie, le invettive scomposte di altri capi partito, danno più che mai negli ultimi tempi l’immagine di una situazione terremotata della  nostra politica. Eppure tutto questo accade contemporaneamente a un altro evento di segno decisamente opposto. Ieri e l’altro ieri nell’annuale seminario dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà (a cui ho partecipato come presidente della Fondazione sussidiarietà che ne cura la partnership scientifica) si è discusso con Enrico Letta e circa cinquanta tra deputati e senatori dei diversi schieramenti su”L’Europa che verrà” una delle questioni cruciali, presenti e future, per il nostro Paese: il rapporto con l’Europa, anche in vista delle prossime elezioni europee e del semestre di presidenza italiano che inizierà a luglio 2014.



Soprattutto in un momento come quello descritto, penso valga la pena dar conto di alcuni spunti emersi.

Innanzitutto una questione di metodo. In un clima in cui divisioni e polemiche attraversano addirittura la vita interna dei partiti italiani più rappresentativi, colpisce la sincera voglia di dialogo e di confronto che ha dominato nell’Intergruppo. Come ha detto il presidente Napolitano nel suo messaggio e come ha sottolineato nel suo intervento il ministro Lupi, l’Italia non ha bisogno di contrapposizioni fra schieramenti che diventino mere delegittimazioni reciproche e rendono impossibili decisioni per il governo e la riforma del Paese. Ciò che urge è innanzitutto un clima di collaborazione e dialogo, pur nella naturale dialettica e competizione tra partiti. Ciò che è avvenuto a Subiaco è di fatto un messaggio a tutta la politica e un segnale positivo a tutto il Paese.



Secondo punto: il contributo della storia per capire la nostra identità. Gli ideali su cui si fonda il progetto europeo è ancora ciò che tiene come riferimento in questo momento di grandi cambiamenti: il valore unico di ogni essere umano e quindi la sua libertà di espressione, d’educazione, d’impresa, religiosa; la solidarietà, il pluralismo, insieme alla cooperazione tra i popoli e al desiderio di una pace duratura. Il primo ministro Letta, reduce dalla partecipazione al congresso del partito socialdemocratico tedesco a Lipsia, in proposito ha sottolineato come mettere a tema i limiti dell’Europa, non deve far dimenticare i suoi meriti storici. Tra cui la pace, faticosamente conquistata tra i popoli europei che si erano massacrati nelle due guerre mondiali. Pace che ha dato vita all’Unione europea, alla caduta pacifica del muro di Berlino, al superamento della crisi jugoslava, all’allargamento a Est del Vecchio Continente. La stretta di mano tra Mitterand e Kohl nel cimitero di Verdun e il premio Nobel per la pace all’Europa nel 2012, sanciscono un fatto importante e per nulla scontato: gli europei hanno passato 68 anni senza guerra. 



Terzo punto: riconoscere ciò che vale nel presente. L’efficacia dell’Europa non è sufficientemente riconosciuta. Per l’Italia, aderire al progetto europeo è un vantaggio anche sotto il profilo economico. Letta ha ricordato come dopo Maastricht il debito italiano non sia aumentato, anzi sia diminuito e ciò sarebbe stato impossibile senza i vincoli europei. Il nuovo aumento del rapporto tra debito e Pil è infatti dovuto solo alla diminuzione del Pil. Anche la moneta europea è stata un fattore fondamentale dello sviluppo. In proposito il presidente di Confindustria Squinzi ha riportato una stima dell’Ufficio studi dell’Istituto di via dell’Astronomia: l’uscita dell’Italia dall’euro porterebbe al 25% di riduzione del Pil. E ancora, ha proseguito Letta, non può essere disconosciuto l’impatto di normative europee senza le quali l’Italia sarebbe più arretrata in settori quali quello ambientale, della sicurezza, della tutela del lavoro. Ma anche a riguardo dello sviluppo della conoscenza attraverso progetti come l’Erasmus per lo scambio di studenti, o la lotta alla crisi attraverso l’intervento decisivo della BCE guidata da Draghi.

Quarto punto: stabilire un’agenda chiara dei temi su cui agire. Senza perdere di vista la criticità più grande, che Letta ha sintetizzato nella mancanza di ambizione per il futuro. Cosa sarà l’Europa tra dieci, venti, trent’anni se è vero, come ha ricordato il ministro per l’Europa Moavero, che i Paesi europei presi singolarmente non compariranno più tra i Paesi più sviluppati? Squinzi ha messo in luce la necessità di una politica per l’energia, per le materie prime, per le piccole e medie imprese. Decisiva strategicamente è una politica per il capitale umano, sia come sviluppo dell’università che come lotta alla dispersione scolastica, come hanno ricordato anche Vannino Chiti, presidente della commissione Politiche dell’Unione Europea del Senato e Ivan Malavasi, presidente di Rete imprese Italia. Occorre una difesa europea comune per ottimizzarne i costi. Occorre una politica comune per il welfare che ne salvaguardi il carattere universalistico con i dovuti correttivi che lo rendano più sostenibile. Occorrono metodi di decisione più veloci e democratici che valorizzino molto di più il parlamento, come ha ricordato ancora Chiti. Occorre riprendere una politica mediterranea, dimenticata dall’Europa a trazione nordica, però cruciale per tutta l’Europa, in quanto rappresenta uno dei punti di sviluppo potenzialmente più importanti.

Quinto punto: il valore della sussidiarietà. Come ricordato, secondo l’ideale europeo, la persona è la prima risorsa per proseguire lungo il cammino dello sviluppo. Persona che viene sostenuta ed educata nelle formazioni sociali, espressione della sua natura relazionale. Per questo ciò che serve all’Europa è una buona dose di sussidiarietà, principio che va continuamente completato e perfezionato perché la partecipazione e il protagonismo delle persone possano incidere sul bene comune. Mai come in questo momento di crisi tutto può giocarsi sulla capacità di cambiamento “dal basso”, che ha permesso a tante generazioni di affrontare difficoltà anche peggiori di quelle odierne.

Potrebbe sembrare una fiera delle buone intenzioni, ma questa due giorni, incentrandosi su un approfondimento e un dialogo seri, segna senz’altro un esempio virtuoso per tutta la politica.