Le sparate incrociate dei duri dei due schieramenti non traggano in inganno. Quando finisce un matrimonio lungo vent’anni è inevitabile che voli qualche piatto. In realtà, contano molto di più i segnali di fumo che si scambiano i due ormai ex coniugi. Silvio Berlusconi e Angelino Alfano, che pure hanno vissuto come un dramma personale la separazione del Pdl, hanno accuratamente evitato di lanciarsi accuse di tradimento. Lo hanno fatto nel giorno dell’addio, e continuano a farlo.



Il Cavaliere lo aveva detto chiaro nel discorso che ha sancito il ritorno a Forza Italia: aveva invitato tutti a evitare dichiarazioni contro il nuovo gruppo. “È importante – aveva spiegato – vper non scavare un solco che sarà poi difficile da rimuovere”. 

Per parte sua Alfano aveva risposto di avere ben chiaro che Forza Italia e Nuovo Centrodestra si ritroveranno nella stessa coalizione, un’area moderata di cui fanno parte anche Lega e Fratelli d’Italia, che potrebbe portare il nome (idea di Berlusconi) del partito scomparso, cioè Popolo della Libertà. 



Il tentativo pare quindi quello di gestire nella maniera più morbida possibile la separazione, senza mettere in crisi le giunte locali, e senza pregiudicare i rapporti futuri. Di lotta e di governo, insomma. In questo sforzo Berlusconi si sta spendendo in prima persona, e lo testimoniano due telefonate cordiali, a Giovanardi e Formigoni, tese a smentire che avesse espresso giudizi pesanti nei loro confronti e concluse con inviti a Palazzo Grazioli.

A ostacolare questo dialogo ci provano, però, gli estremisti delle due fazioni. Il falco dei falchi è Sandro Bondi, che scaglia l’accusa di aver fatto la scissione per un calcolo cinico e brutale. Parole che gli guadagnano l’epiteto di stalinista da parte di Cicchitto, che non gli perdona l’antica militanza nel Pci. Di sicuro strali tanto acuminati costituiscono un problema, tanto per Berlusconi, quanto per Alfano.



Per il Cavaliere il momento rimane delicato. I toni soft sembrano destinati a durare almeno sino al voto sulla decadenza, fissato per il 27 novembre, e che assai difficilmente subirà slittamenti. Il fronte che sta già scaldandosi è, invece, quello della legge di stabilità, che potrebbe costituire una ragione più solida della perdita del seggio senatoriale per giustificare il distacco di Forza Italia dall’area di governo.

Oggi Gasparri ha chiarito che – al momento – il rinato partito berlusconiano non è all’opposizione. Ci potrebbe andare presto però, hanno aggiunto tanto Bondi quanto Brunetta, se la legge di bilancio non dovesse cambiare e rimanere quindi deludente, com’è adesso, o addirittura prevedere nuove tasse. Agli occhi dell’opinione pubblica rompere su una modesta legge di stabilità sarebbe molto più comprensible rispetto a farlo sulla decadenza.

Berlusconi ha dimostrato sufficiente lucidità per ammettere di non avere più i numeri per fare cadere il governo. Di conseguenza potrebbe trovare molto vantaggioso collocare il suo partito al’opposizione ed entrare in diretta concorrenza con Grillo nel rastrellare i consensi dei tanti elettori insoddisfatti da una ripresa economica tante volte annunciata, ma che continua a non arrivare. Nel frattempo attraverso Alfano, se riuscirà a non logorare troppo i rapporti, potrà ancora condizionare in qualche modo l’azione dell’esecutivo guidato da Enrico Letta, che potrebbe continuare la sua azione per tutto il 2014, Renzi permettendo. Al sindaco di Firenze, anzi, Brunetta ha lanciato la sfida a non votare la legge di stabilità, se la giudica sbagliata, e vuole evitare di logorarsi, sostenendo un governo debole da segretario del Pd.

Se Renzi accettasse la provocazione, sarebbe il Pd a pagarne il prezzo politico, ma si andrebbe a votare in primavera con il centrodestra senza la possibilità di schierare Berlusconi e costretto in fretta e furia alle primarie. Uno scenario di grande debolezza. Se, invece, Letta dovesse continuare la sua difficile navigazione all’ombra del Quirinale, allora l’ultimo azzardo del Cavaliere, essere contemporaneamente all’opposizione ed al governo, potrebbe persino portare qualche frutto e consentirgli di attendere quel ribaltamento della sentenza (magari grazie all’Europa), di cui lui in privato continua ostinatamente a dirsi convinto.