Le sorti del governo sono sempre state e restano appese a un filo. Fino al giorno della scissione degli alfaniani, le minacce da destra erano quelle più rumorose e avevano messo in ombra tutte le altre. Assodato che Forza Italia non ha i numeri per staccare la spina, l’attenzione si sposta a sinistra. Sul Pd, in particolare. Anzi, su Renzi. Che, come è noto, ha fretta vincere le elezioni. Quelle vere, la cui vicinanza potrebbe dipendere proprio da lui. Abbiamo chiesto ad Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, come potrebbe evolvere lo scenario.
Cosa emerge dal quadro che si sta delineando?
Anzitutto, quanto accadrà nel Pd resterà nell’ambito di valutazioni strettamente politiche. Un accordo politico tra Letta e Renzi è raggiungibile. Nel Pdl, invece, l’intreccio con la vicenda personale di Berlusconi rendeva imprevedibile e complessa la situazione. Un accordo tra Letta e Berlusconi, infatti, presupponeva un voto contrario alla decadenza. Il che non era evidentemente possibile.
Che accordo potrebbero raggiungere?
Potrebbero concordare una tregua. A Renzi potrebbe, persino, convenire. L’Italia, dal punto di vista del bilancio è ancora inguaiata, l’anno prossimo dovrà raggiungere dei parameri che l’Europa considera lontani. Se Renzi andasse a Palazzo Chigi subito, non potrebbe fare molto di più di Letta. Per questo, potrebbe preferire attendere almeno il 2015, quando i conti saranno migliori e non avrà più l’acqua alla gola. Inoltre, se il governo resterà solido nel consenso popolare, Renzi non si arrischierà certo a farlo cadere, assumendosi una responsabilità di cui ne pagherebbe un caro prezzo elettorale. Insomma, se istintivamente è portato a incassare il prima possibile, dovrà farlo entro certi limiti. Non può fare il Giamburrasca, se la maggioranza degli italiani vuole questo governo e stabilità. Non per questo se ne starà calmo e tranquillo.
Cosa farà?
Come nella vicenda Cancellieri, spingerà affinché il Pd abbia posizioni il più possibile in linea con il favore popolare. Ogni volta che si porrà un problema di questo genere, penserà, anzitutto, al posizionamento elettorale del partito che si troverà a dirigente. E questo, indubbiamente, creerà dei problemi al governo. La sua elezioni a segretario, quindi, si rivelerà potenzialmente destabilizzante. Non è un caso che lo stesso Berlusconi, in privato, abbia più volte detto spera che sia il sindaco di Firenze ad aprire la crisi. Eventualmente, in ogni caso, se realmente deciderà di aprirla, dovrà farlo in fretta.
Perché?
Se le Camere non si sciolgono entro la fine dell’anno, salta la finestra elettorale di febbraio-marzo; poi ci sono le Europee, e in seguito, il semestre di presidenza Ue. Insomma, si andrebbe, come minimo al 2015.
Il momento più delicato potrebbe essere all’indomani delle primarie quando, in preda all’euforia della vittoria, tutto potrebbe succedere?
Indubbiamente, Renzi, vincerà. Sta di fatto che più del 50 per cento degli iscritti al suo partito vorrebbe un altro segretario. Ciò significa che, una volta eletto, saprà di non essere il padrone del partito. Da questo punto di vista, potrebbe convenirgli quindi proiettare le sue energie su Palazzo Chigi, piuttosto che perdere tempo a rivoluzionare il Pd dall’interno. In sostanza, potrebbe essere proprio un eventuale risultato modesto a fargli decidere di premere sull’acceleratore. Se vedesse un appannamento della sua leadership, sarebbe spinto a cimentarsi su un altro terreno. Se, al contrario, le cose dovessero andar bene, potrebbe temporaneamente accontentarsi.
Renzi, in ogni caso, ha la maggioranza dei parlamentari.
E’ ovvio che ci sia la corsa a salire sul carro del vincitore. Come se non bastasse, gli eletti sono dipendenti del segretario. Per essere riconfermati, non possono fare altro che correre sotto le insegne del potere. Bisogna vedere, tuttavia, se questo è vero fino in fondo. Quando i renziani, per esempio, hanno fatto una battaglia per imporre un loro uomo all’Agcom, hanno perso.
La vittoria di Renzi potrebbe condurre alla scissione del Pd?
Non credo. Nel centrosinistra ci sono meno ragioni per una scissione che nel centrodestra: non c’è un leader calante, ma nascente, mentre la prospettiva è quella di vincere le elezioni, non di perderle. Non mi pare che ci siano le condizioni per separarsi. Piuttosto, ci sono per produrre una guerriglia interna constante contro il nuovo leader.
(Paolo Nessi)