Se c’erano ancora dei dubbi sul fatto che Renzi abbia intenzione di rompere le uova nel paniere al governo Letta, non appena eletto segretario, le sue dichiarazioni a La Gabbia li avranno rimossi del tutto. «Dal 9 dicembre, l’agenda del governo cambia». Bene. E se non cambia? Renzi mica potrà continuare a sostenere un esecutivo che non modifica il programma secondo le sue indicazioni. Oppure sì? Nicola Latorre, considerato ai tempi un dalemiano di ferro, e attualmente sostenitore del sindaco di Firenze, ci spiega come andranno le cose.
Che significa che, all’indomani del congresso, il governo avrà una nuova agenda?
Anzitutto, se Renzi vince, cambia l’agenda politica del Pd che, a quel punto, sarà finalmente nelle condizioni (avendo un gruppo dirigente definito e un segretario investito del consenso polare, nonché da un passaggio congressuale) per indicare una via d’uscita dalla crisi. Potremo, cioè, sviluppare un’iniziativa autonoma che non ha affatto, come Renzi ha detto esplicitamente, il fine di far cadere il governo, ma, casomai, di far pesare ancora più determinante di adesso (specie dopo la crisi del Pdl), la nostra visione. Non dimentichiamo che Renzi, coerentemente con questo ragionamento, ha fatto presente che tutto ciò vale con chiunque vincerà il congresso.
Se il partito di maggioranza avrà un’agenda diversa o in conflitto con il governo, come potrebbe continuare a sostenerlo?
In queste settimane si è fatto un gran trambusto nell’affermare che il problema del governo sarebbe stato rappresentato dal nostro congresso e dall’eventuale vittoria di Renzi; si è scoperto che, invece, che le sue difficoltà dipendevano dalla crisi del Pdl, dagli aut aut di Berlusconi, di Brunetta e del resto della comitiva, o dai episodi quali la vicenda Cancellieri.
Rispetto al caso Cancellieri, è stato proprio Renzi a insistere nel chiederne le dimissioni; Letta gli ha replicato che colpire il ministro avrebbe significato colpire l’intero governo.
E infatti Renzi, per dimostrare che la sua iniziativa non era tesa a far cadere il governo, pur mantenendo le sue perplessità, si è adeguato, facendo presente che se Letta la metteva in quei termini, allora non poteva fare altro che alzare bandiera bianca.
Il futuro Pd, quindi, continuerà a sostenere il governo?
L’obiettivo del Pd è di sostenere il governo affinché, assieme alla maggioranza, porti avanti le misure che si è impegnato a realizzare. A partire dalla riforma della legge elettorale, e di tutti gli interventi finalizzati a rilanciare l’economia, il lavoro e lo sviluppo. In tal senso, non vedo alcuna contraddizione tra il voler svolgere un’iniziativa politica forte su questi temi e, contestualmente, mantenere un atteggiamento responsabile. Irresponsabile, invece, sarebbe continuare a tenere i piedi le larghe intese, a prescindere dalle ragioni per le quali sono state inaugurate. Se così fosse, determineremmo un fossato incolmabile tra le istituzioni e il Paese. Forse, non ci rendiamo conto della minoranza di elettori che è andata a votare in Basilicata. L’autorevolezza non si riacquista con la demagogia di Grillo che, non a caso, alle Regionali ha preso l’ennesima batosta, ma facendo quello che si promette di fare. L’azione del Pd consisterà proprio in questo. Credo che un partito con una leadership forte come quella di Renzi sarà utile alla causa.
Come immagina l’evolversi dei rapporti tra Renzi e Letta? Riusciranno a convivere nella stessa formazione?
Un grande Pd sarà in grado non solo di tenere insieme due figure di questo tipo, ma anche tante altre. Non credo che l’approccio diverso su singole questioni possa determinare fratture insanabili. Tanto più che il dibattito tra Letta e Renzi non mette in discussione la provvisorietà dell’attuale passaggio politico e neppure la necessità di offrire al Paese e al Pd un nuovo orizzonte strategico ben diverso da quello attuale; su come si esce dalla crisi e su come si riorganizza il sistema politico italiano, mi pare che le divergenze siano solo tattiche e riguardino la gestione di alcuni passaggi. Come, per l’appunto, la vicenda Cancellieri: si poteva insistere sulle dimissioni senza farne una tragedia o legarne la rimozione alla sopravvivenza del governo. Insomma, tolto un ministro se ne fa un altro. Quando la Idem fu convinta a dimettersi, peraltro per motivi meno gravi di quelli attribuiti al Guardiasigilli, non mi pare che ci furono terremoti.
Perché lei non ha scelto Cuperlo?
Anzitutto, quando ho scelto Renzi, l’ho fatto convinto che la sua leadership, in questo momento, è l’unica in grado di offrire una prospettiva al Pd e al Pease. Incarna quel progetto di cambiamento profondo di cui c’è bisogno, a partire dalla classe dirigente; ciò significa mettere in discussione una serie di assetti di potere che vanno ben oltre la politica e che rappresentano uno dei problemi che impediscono all’Italia di essere competitiva.
Cuperlo non era in grado di fare questo?
La proposta di Cuperlo offre una risposta conservativa volta a rassicurare una comprensibile sinistra smarrita, ma non ha quella capacità espansiva di coniugare la domanda di cambiamento con il consenso sufficiente per realizzarlo. Sento spesso dire che, per molti, l’unica qualità di Renzi è che appare come colui che vincerà le elezioni. A parte il fatto che non mi pare una qualità trascurabile ma, se un leader è dato come vincente, evidentemente la sua proposta politica è più convincente.
Applicherebbe lo stesso ragionamento alle vittorie di Berlusconi?
Indubbiamente. Aveva un progetto politico più convincente di quello degli altri. Peccato che, dopo vent’anni, abbiamo verificato che, pur avendo convinto gli italiani, ha distrutto l’Italia.
I cuperliani, specialmente se rappresenteranno una corposa minoranza, potrebbero instaurare un conflitto permanente con Renzi o, addirittura, scindersi?
Ma no, abbracceranno l’opzione più normale per un grande partito: chi perde il congresso, prende atto della sua sconfitta, partecipa attivamente alla vita del partito e alla costruzione del suo progetto politico senza, tuttavia, rinunciare alle proprie opinioni. La tesi secondo cui ha diritto di cittadinanza solo chi si omologa al pensiero unico appartiene al passato.
Cosa ne pensa di Civati?
E’ un dirigente giovane e brillante, che dà voce ad una certa sensibilità presente nel nostro partito. Tuttavia, è assolutamente inadeguato a guidarlo. Detto questo, è una persona con la quale, francamente, è molto piacevole conversare.
Perché, invece, D’Alema va rottamato?
Anzitutto, il termine “rottamazione” per le persone non mi è mai piaciuto. Credo, in ogni caso, che sia stato protagonista indiscusso di una stagione importante della politica italiana ma che, in questo dibattito congressuale, abbia fatto prevalere il bisogno di tenere vita una storia e uno schema rigido e ormai obsoleto, piuttosto che partecipare ad un effettivo rinnovamento culturale. Personalmente, nutro ancora nei suoi confronti un profondo sentimento di affetto e di stima. Tuttavia, le mie opinioni politiche non sono condizionabili dai sentimenti di affetto come, invece, avveniva appunto in un’altra epoca politica.
In cosa differiscono le vostre idee?
Io, a differenza di D’Alema, credo che non si possa restare prigionieri di un’idea di sinistra che, benché abbia una storia nobile, è abbandontenemtne alle nostre spalle e che lo stesso rinnovamento nella continuità sia un concetto ormai privo di senso. Il rinnovamento implica, invece, una coraggiosa rottura con certi tratti della nostra storia.
(Paolo Nessi)