Come si suol dire, Letta ha sbattuto i pugni sul tavolo europeo. Anche se era in Italia. Parlando all’assemblea di Federcasse, ha fatto, cioè, presente che il nostro Paese, nonostante il mostruoso debito pubblico, ha un risparmio privato elevatissimo. Poi, ha spiegato che l’Italia è costretta a battagliare contro gli «ayatollah del rigore», precisando che «di troppo rigore si muore» riferendosi, evidentemente e in primis, alla Germania. Infine, ha lanciato la sua proposta: «Nell’Ue – ha sostenuto – c’è un altro organismo a cui non si è data a sufficienza importanza che è la Banca europea degli investimenti e che può favorire gli investimenti e dare garanzie alle pmi». Abbiamo chiesto  ad Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, che tipo di battaglia si sta giocando il premier in Europa.



Come interpreta queste sue ultime prese di posizione?

Per l’Europa, Letta rappresenta la soluzione più affidabile. Questo, unito all’evidente sostegno di Napolitano alla stabilità del governo, è un punto di forza. Allo stesso tempo, siccome resta a tutti gli effetti un politico e un uomo del Pd, gli tocca combattere una battaglia interna al partito. E lo fa, anzitutto, dimostrando di non essere subalterno all’Ue fino al punto di sacrificare gli interessi nazionali.



Con chi si sta giocando, a livello europeo, questa partita?

Pur restando nel solco dell’europeismo, ha alzato la voce chiedendo, di allentare i vincoli, investire di più e trovare fonti comuni di raccolta dei capitali. E’ la posizione classica dei Paesi del Sud Europa, a partire dalla Francia.

Tale posizione si scontra con quella tedesca.

Indubbiamente. E tutti sanno che, oltre un certo livello, non si ci può spingere. Salvo il fatto che, di recente, si sta aprendo la strada di uno scambio che, forse, potrebbe in qualche modo andar bene anche a Berlino: i Paesi che fanno riforme, potrebbero essere ricambiati con investimenti garantiti a tassi estremamente vantaggiosi. In tal senso, il suggerimento di Letta di potenziare le funzioni della Bei è una via percorribile.



Non crede che Letta potrebbe giocare di sponda con gli altri Paesi del sud per mettere in minoranza la Germania?

La Germania non sarebbe messa in minoranza neppure se tutti i Paesi europei si alleassero contro di lei. Non dimentichiamo che è uno dei pochissimi Stati dell’Ue ancora dotati della tripla A e che, di conseguenza, possono garantire qualsiasi operazione di raccolta dei capitali. Anche per potenziare la Bei, quindi, occorre il suo benestare.

La situazione cambierebbe se il premier avesse un alleato come Draghi?

Non dimentichiamo che ciò che poteva fare già l’ha fatto; ovvero, ha risolto la crisi dei debiti sovrani affermando che la Bce, in caso di necessità, avrebbe acquistato illimitatamente titoli di Stato. Quella fu un’azione effettuata contro la Bundesbank e il membro tedesco del board della Bce con il silenzio-assenso della Merkel. Per il resto, Draghi non ha di certo poteri né competenza istituzionale in materia di investimenti.

 

La vittoria di Renzi alle primarie come condizionerà la strategia di Letta in ambito europeo?

E’ probabile che Renzi, divenuto segretario, accelererà l’azione di indebolimento del governo chiedendo, in particolare, di dimostrarsi più convinti in Europa. E’ proprio perché Letta sa bene che si dovrà attendere un’offensiva che sta prendendo già adesso le opportune contromosse.

 

La scissione del Pdl come cambia lo scenario?

Il governo, sul fronte destro, è evidentemente rafforzato. Ripeto, i problemi maggiori proveranno da Renzi.

 

Crede che il premier si stia muovendo anche nell’ottica di sedere, in futuro, su una poltrona europea di prestigio?

Letta, indubbiamente, nutre anche questa ambizione. Si tratterebbe di una collocazione adatta alla sua figura. Caratterialmente e culturalmente, è un figlio perfetto di Bruxelles. Non credo, tuttavia, che attualmente stia facendo il premier con lo scopo di ottenere, in futuro, una carica europea. Sarebbe riduttivo.

 

Rispetto a Monti, l’atteggiamento di Letta è meno subalterno alla Germania?

Francamente, non credo che l’atteggiamento di Monti sia stato subalterno. In diversi vertici europei, per esempio, ha fortemente criticato la Merkel; rispetto all’Unione bancaria e al Fondo salva stati, inoltre, si impuntò, obbligando i presenti a proseguire i lavori finché non si fosse trovata una soluzione, per poi rivendicare in conferenza stampa il fatto che, se non fosse stato per lui, non si sarebbe venuti a capo di nulla.

 

(Paolo Nessi