Via l’anzianità, via lo spiccato rilievo. E così il Csm, autoriformandosi, dovrebbe aver compiuto una piccola rivoluzione, garantendo a questo punto maggior rigore nelle nomine dei capi degli uffici giudiziari e facendo fuori l’eccessiva discrezionalità che, spesso, sfociava in vere e proprie scelte arbitrarie. Tecnicismi la cui ampiezza, ovviamente, non può che sfuggire ai profani. Per questo abbiamo chiesto a Nicolò Zanon di spiegarci la riforma del Consiglio di cui fa parte.
Anzitutto, chi sono i capi degli uffici giudiziari?
Coloro che ricoprono ruoli direttivi (presidente del tribunale, presidente della Corte d’appello, procuratore della Repubblica, capo della procura, procuratore generale della Corte d’appello) e semidirettivi (presidente di sezione del tribunale, presidente di sezione della Corte d’appello, procuratori aggiunti).
Come vengono normalmente nominati?
Ogni volta che viene pubblicato un bando (ne escono diversi all’anno, il ricambio è molto frequente) il magistrato interessato invia la propria domanda, allegando il proprio curriculum, i pareri del consiglio giudiziario e le auto-relazioni sull’attività pregressa. Tale domanda viene esaminata dalla V commissione del Csm, composta da sei componenti, 4 togati e 2 laici, che si orienta in buona parte in base alla propria appartenenza correntizia. Spesso, si assistite ad un ritardo nelle nomine perché le contrattazioni tra le componenti togate vanno per le lunghe (in tal senso, più volte Napolitano e Ciampi hanno scritto al Csm lamentando i ritardi).
I ritardi cosa comportano?
Gli uffici non hanno un capo effettivo ma provvisorio, privo dell’autorevolezza derivante da una nomina vera e propria. Questo, ovviamente, influisce sull’organizzazione del lavoro degli uffici e, indirettamente, sul rallentamento della giustizia italiana. Tuttavia, alle fisiologiche contese tra correnti, si sono aggiunti nel tempo alcuni elementi che hanno particolarmente complicato le cose.
Quali?
La riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006 aveva abolito il criterio dell’anzianità. Una volta, la carriera progrediva soprattutto per il decorso del tempo, salvo gravi demeriti. Si è deciso di procedere con una valutazione comparativa tra i candidati, considerando fattori quali i curricula, l’esperienza pregressa e le attitudini. Questo ha aumentato di parecchio la discrezionalità della commissione e del Consiglio, con la conseguenza che molti sconfitti hanno iniziato sempre più spesso a fare ricorso ai Tar, sostenendo che il Csm non avesse rispettato i criteri che si è dato. Si è prodotto un frequente contenzioso post-nomine. Ebbene, dopo la riforma della legge, il Consiglio, attraverso delle circolari, ha cercato di attenuare il mancato rilievo dell’anzianità.
Come?
Stabilendo che per ogni concorso fosse prevista una fascia di anzianità nel ruolo dentro la quale collocare i candidati. Peccato che, contestualmente, si sia introdotto un criterio per “sfondare” la fascia, prevedendo la possibilità, in casi particolari, di ricomprendere tra i legittimati a concorrere quelli che sono dotati di “spiccato rilievo”. Come facilmente si può immaginare, tale nuovo criterio ha spesso premiato candidati, inizialmente non legittimati a concorrere, per il loro mero rilievo mediatico (o perchè comunque spinti dalle correnti). Inoltre, si è introdotta nuovamente un’ampia discrezionalità, questa volta assoluta.
Come l’avete risolta?
Con la recente riforma, modificando la disciplina di circolare: abbiamo abolito, cioè, sia la fascia di anzianità che lo spiccato rilievo. A questo punto, la rosa non è più delimitata a priori, e tutti i candidati devono essere valutati comparativamente a priori. Si obietterà che, apparentemente, aumenta la discrezionalità, dal momento che si amplia la platea dei legittimati a concorrere.
Effettivamente…
In realtà, il meccanismo della fascia era variabile. Il limite inferiore di anzianità veniva fissato in base al candidato più giovane. Spesso, accadeva che – artatamente – si facesse fare domanda ad un magistrato giovanissimo, in modo da abbassare notevolmente il limite inferiore, per includere nel novero dei valutandi il maggiore numero di persone e, in particolare, alcuni candidati che si volevano favorire. Il candidato giovanissimo, in seguito, non avendo chance ritirava la domanda. Ma la fascia, a quel punto, era stata definita. Qra, quindi, siamo obbligati a valutare tutti alla stessa maniera, rimediando così alle possibile valutazioni discrezionali. Va anche detto, infine, che, in precedenza, abbiamo limitato la platea, impedendo a ciascun candidato di fare più di tre domande per tornata concorsuale.
(Paolo Nessi)