Pur restando entro gli argini dei vincoli costituzionali, non è sfuggito a nessuno che Napolitano abbia interpretato il suo ruolo e l’esercizio delle sue attribuzioni in maniera sovrabbondante rispetto ai suoi predecessori; a cominciare, evidentemente, dalla rielezione, considerata lecita nel silenzio della Costituzione ma da sempre un’ipotesi concretamente irrealizzabile. E’ evidente, del resto, anche il fatto che l’attuale governo si è formato per suo volere, come per suo volere è stato salvato, salvando, cioè, il ministro Cancellieri. Abbiamo chiesto a Lanfranco Turci, a suo tempo esponente della corrente migliorista capeggiata proprio da Napolitano, e attualmente coordinatore del Network per il Socialismo Europeo, cosa ne pensa del mosse il Quirinale.
Secondo lei, come mai Napolitano, ex Pci, ha un rapporto così stretto col democristiano Letta e non con gli ex comunisti?
La prima ragione è legata al modo in cui Napolitano ha sempre interpretato il suo ruolo istituzionale: nessuno può dire che in questi anni siano mai emerse tracce dell’ex comunista, o che si sia mai comportato come l’erede del vecchio statalismo del Pci; la seconda va ricercata nella sua evoluzione politica e culturale. Si è progressivamente spostato su una posizione liberale di sinistra. Non è un caso che nel corso di una ricorrenza celebrativa di Einaudi ne abbia lodato il pensiero, quando avrebbe potuto limitarsi a esaltarne l’autorevolezza. Si è spinto, invece, fino ad indicare nella matrice del suo pensiero una fonte di ispirazione; anche l’europeismo spinto, del resto, è un tratto sintonico con il pensiero di Letta e ben distante da pensiero comunista.
Tutto ciò lo rende inviso a buona parte della sinistra.
Io non credo, francamente, che gli ex Ds nutrano risentimento nei confronti del capo dello Stato. Anche in loro si è determinata una certa evoluzione intellettuale.
Secondo lei, in che termini va inteso il rapporto di Napolitano con il Pd?
Per rispondere, bisogna premettere che Napolitano è stato ed è tuttora il promotore dell’attuale governo. Ha ritenuto che, dati gli equilibri successivi alle elezioni, l’unica strada in grado di garantire la tenuta dell’Italia fossero le larghe intese; le ha volute fortemente, sono un suo parto e, per inciso, è questo il motivo per cui ha deciso di sostenere così strenuamente il ministro Cancellieri. Detto questo, il suo peso reale rispetto alle dinamiche del Pd si è fatto sentire nell’ultima fase della segreteria di Bersani, quando il capo del partito stava cercando di formare un governo.
Cosa intende?
Bersani, al quale è stato impedito di andare di fronte alle Camere a chiedere la fiducia, ha dato l’evidente impressione di essere sopraffatto dal forte intervento di Napolitano, sia sul terreno istituzionale che politico. In quell’occasione, si è percepita l’autorevolezza di un capo dello Stato che, essendo stato leader storico del Pci, si è sentito come investito da una sorta di diritto informale ad orientare la politica del suo vecchio partito.
Con Renzi, la situazione potrebbe cambiare?
Credo che la sua vittoria potrebbe segnare una fase drammatica per il Pd il quale, ormai da anni, si appoggia su equilibri precari, ha perso la consistenza storica dei partiti della prima Repubblica e pure la connessione con la base. E’ venuta meno, cioè, quella che Gramsci chiamava “connessione sentimentale”, tra i partiti, i dirigenti, e i ceti popolari. Insomma, l’arrivo del sindaco di Firenze potrebbe determinare, in un edificio così fragile, una scossa tellurica.
Ci sarà una scissione?
Credo che sia ragionevole aspettarsela.
Renzi cercherà di far cadere il governo?
I fenomeni mediatici come Renzi hanno vita breve, quindi cercherà di mettere a frutto al più presto il risultato dell’8 dicembre.
E Napolitano come replicherà?
Finché gli sarà consentito, cercherà di preservare lo schema attuale. Renzi, dal canto suo, farà di tutto per non farsi ingabbiare in anni di segreteria.
Secondo lei, che quadro si attende Napolitano per il dopo elezioni?
Non saprei dire, con esattezza, che quadro ha in mente. E’ verosimile, però, che si attenda che, a fronte di un Pd che resta unito e che risulta il partito più forte, si costituisca – attorno ad una pluralità di soggetti – un centrodestra dai connotati europei.
(Paolo Nessi)