Oggi si è espressa tutta la reale personalità di Silvio Berlusconi: non è il voto del Senato il fatto ultimativo, ma la ripresa dell’iniziativa politica partendo dalla piazza.

Quando non era ancora passato alla politica, Silvio conduceva le sue aziende chiarendo a tutti che ci si doveva considerare un mondo a parte, i suoi dicevano “siamo saliti sulla nave” per dire dell’impresa di cui erano collaboratori. Era un’idea forza di Berlusconi. L’impresa può garantire un buon trattamento, ma chiede fedeltà piena.



Questo imprenditore è passato alla politica praticamente in continuità con il suo modo di dirigere. E da buon organizzatore di una potenza pubblicitaria ha selezionato in politica secondo l’idea del rappresentante che deve vendere il suo prodotto credendo ciecamente alla bontà del prodotto stesso.

Io ho partecipato a questo avvenimento politico. Ho veramente creduto che il suo personalismo fosse problema secondario rispetto alla necessità di superare l’egemonia culturale, poco liberale, schematica e burocratica, della sinistra italiana. Così ho fatto nel ’97, insieme a molti amici. Ma il tempo ha mostrato che quel metodo non era adeguato a produrre composizione e unità, come deve fare la politica. Per questo i metodi aziendali non sono sufficienti. E per questo io sono diventato ostacolo nel suo movimento, e sono uscito, mi sono rimesso a fare politica dal basso, sollecitando la partecipazione consapevole. In un certo senso mi ritrovo come Silvio fuori dalle istituzioni, ma io voglio ricostruire la politica che si è inaridita, mentre Silvio vuole fronteggiare le istituzioni con la piazza e le deriva plebiscitaria. La sua azione è manifestare e andare subito alle elezioni coi circoli “Forza Silvio”.



Ora, con la resa dei conti dentro il sistema istituzionale italiano, la faccenda è profondamente cambiata. La magistratura politicizzata ha lavorato in modo non equanime nell’applicare la legge per Berlusconi. Ma questo non è risolvibile con l’uscita dalle istituzioni, si deve lavorare anche per la riforma della magistratura. 

Da ieri il personalismo berlusconiano non è più una parte della competizione democratica, è diventato populismo, ovvero la pretesa delle ragioni di una parte di mettersi al di fuori delle regole comuni, quindi delle istituzioni e della legge.

La manifestazione di piazza ha visto Silvio Berlusconi molto combattivo, che continuava a ripetere che il Senato è di sinistra, e che l’atto della sua esclusione è illiberale e eversivo. Ha dichiarato che la sua esclusione è un golpe (questa definizione si è usata per fatti tipo quello dei generali in Grecia o Argentina). Il grande motivo agitato da Silvio è “libertà”, e i suoi in piazza erano emozionati come gente davvero convinta che in Italia non c’è più la democrazia.



Poiché c’ero, mi ricordo i movimenti del ’68. Erano mossi dall’idea che la piazza sostituiva la democrazia “dei padroni”. La piazza è parte della democrazia quando i manifestanti cercano di dare forza alle loro richieste o proposte. Ma la piazza è invece strumento rivoluzionario quando si gioca l’ipotesi che bisogna imporre la propria visione. Ricordate la Padania, e l’esercito padano, le guardie verdi che sono andate alla conquista del campanile di San Marco? Ecco, questo è il populismo, che non ha niente a che vedere con il primato del popolo e con l’idea politica di servire il popolo. Ho fatto l’esperienza che in nome del popolo stavamo sbagliando tutto. So dunque il rischio che si corre con il populismo, si sbrana la democrazia fino al punto che gli altri diventano tutti nemici. Cosa impedisce ora a dei giovani sovraeccitati di scegliere l’illegalità?

Non si può chiamare questa scelta della piazza scelta di libertà. Anche perché Silvio ha connesso direttamente la piazza alle elezioni, rafforzando così non il suo diritto a continuare a far politica dirigendo l’opposizione, ma il suo rifiuto della partecipazione al confronto per le riforme e per il bene comune. 

Altro che scelta di libertà. Il senso è proprio contrario!