Chi ha vinto il confronto tra i “tre bravi ragazzi” del Pd, che domenica 8 dicembre vanno alle primarie, posta in gioco la segreteria del partito?

Per ora, Sky. Che sta imponendo uno stile di comunicazione e di confronto che né la tv pubblica né quella privata hanno osato praticare: quelle preferiscono il calderone dei talk show, dove si alza il grido o corre l’insulto feroce, o il salotto vellutato di Vespa. Lo stile cosiddetto “all’americana” impone civiltà al dibattito, ma anche “cattiveria”, tanto più efficace quanto più civile. A condizione che le  differenze si vedano, che le proposte programmatiche emergano con nettezza e, magari, con qualche timbro di novità. Ieri sera non si è sentita “la cattiveria”, perché non si sono sentite le differenze. 



In realtà, nessuno dei tre ha guardato in faccia al Paese, mentre parlava; ha preferito parlare alle proprie truppe, in vista dell’8 dicembre. La questione cruciale era quella del destino del governo Letta, al quale Napolitano ha chiesto di tornare alle Camere, dopo la partenza di Berlusconi e il passaggio all’opposizione della ri-neonata Forza Italia. Renzi ha abbassato i toni dei giorni scorsi, quando aveva inviato un ultimatum a Letta: dopo l’8 dicembre, farai quello che vogliamo noi. Ieri sera, si è tratta di un amichevole “penultimatum”: d’ora in poi Letta farà meglio, perché gli darò una mano. 



Stiamo tornando ai “cavalli di razza” e ai loro ventennali duelli? Questo è il sospetto. Nulla di diverso ha detto Cuperlo: il governo deve “cambiare passo”. Come? È nebbia. Sul governo invece è stato netto Civati: il governo procede male. Civati, lo ha scritto nelle sue Tesi per il Congresso, ha una voglia matta di andare a votare, mettendo insieme il Pd, Sel, un pezzo di M5S. 

Con quale sistema elettorale? Civati è per il ritorno al Mattarellum: sarebbe, in effetti, relativamente facile arrivarci, magari con il contributo della Corte costituzionale, che deve esprimersi sulla non-costituzionalità del Porcellum. Renzi propone invece l’estensione a livello nazionale del metodo adottato per eleggere i sindaci: il premier come “sindaco d’Italia”. È, finora, l’apertura più esplicita al tema del semi-presidenzialismo alla francese. È evidente, perciò, che il Mattarellum non basta, serve un sistema a doppio turno e, comunque, si impone una riforma costituzionale. “Quod Deus avertat!”, dichiara il dalemiano Cuperlo, abbarbicato alla repubblica parlamentare, fondata sul potere assoluto dei partiti. Perciò, escluso il Porcellum attuale, Cuperlo non si esprime più precisamente. È noto, infatti, che nelle retrovie dalemiane si parla di modello tedesco e di ritorno al proporzionale. 



Laterale rispetto al tema del governo è stato quello introdotto efficacemente da Civati con l’invito a fare un applauso a Prodi: quello del giudizio sul presidente della Repubblica. Contrario al governo delle larghe intese (“non mi fido di Angelino Alfano”), Civati è ostile a Napolitano. Per Cuperlo la mancata elezione di Prodi è, assai poco convintamente, “una ferita aperta”. Qui Civati ribadisce la sintonia con quello schieramento potenziale, almeno nelle sue intenzioni, che in Parlamento era pronto a votare per Rodotà o per Prodi e che è contrario al governo Letta. 

Complessivamente il Pd, rappresentato qui dai tre, soffre le larghe intese, ma non ha a disposizione un’alternativa. Costruirla implicherebbe un coraggio di innovazione e di riforme strutturali che nel dibattito a tre non è emerso. 

Sulla spesa pubblica, Renzi propone l’abolizione di Senato e province. Con ciò si risparmia solo un miliardo. E le privatizzazioni? Perché riescano, occorrono concorrenza e mercato. Solo che per realizzare questa condizione, occorrerebbe togliere i piedi dello Stato nell’economia, cioè privatizzare. Il circolo vizioso è perfetto. Tutti e tre i candidati girano intorno alla questione. Cuperlo sostiene che la nostra spesa pubblica non è la più alta in Europa, ma è la peggio distribuita. E quindi?! Nebbia. 

Su un altro tema di discussione accesa, soprattutto con il mondo cattolico, quello delle unioni gay e delle adozioni, Civati è nettissimo: matrimoni ugualitari. Renzi è per la civil partnership alla tedesca, Cuperlo svicola, osservando a Civati che uguali diritti non sarebbe un’operazione a somma zero. Frase un po’ criptica per dire che la componente ex-dc del Pd se ne andrebbe? In questo caso, il costo sarebbe certamente alto.

Dei tre, in generale Civati è apparso il meno sfuggente. Non essendosi posto il problema delle larghe intese e delle alleanze, pensando ad uno schieramento molto spostato a sinistra, deve solo dire ciò che piace a questo schieramento. Di qui la proposta del reddito minimo, che piace a Sel, di qui, appunto, la presa di posizione sulle unioni gay. Che poi questo schieramento possa vincere le elezioni, ci corre parecchio.

Il quadro complessivo che esce dalla serata di Sky è quello di un Pd ostaggio, più di quanto sembri, del proprio passato. Cuperlo ha certamente fatto una proposta di politica della memoria e dell’identità, quando ha messo Enrico Berlinguer nel suo personale Pantheon. Per i suoi valori, ha spiegato. Ma conosce troppo bene la storia del Pci per non rendersi conto che Enrico Berlinguer si è battuto fino all’ultimo contro la socialdemocratizzazione riformista del Pci e che è certamente uno dei maggiori responsabili del conservatorismo di sinistra, lasciato in eredità alle sigle successive. Quanto a Renzi, ha bagnato parecchio le sue polveri sul tema della riforma istituzionale e della conseguente rimodulazione del ruolo storico-istituzionale dei partiti. Forse perché, volendo diventare segretario del partito storico della prima Repubblica, ha deciso di reculer pour mieux sauter? Nei prossimi mesi la risposta.