Per anni le forze politiche hanno colpevolmente indugiato e ora, volenti o nolenti, dovranno riformare la legge elettorale in fretta e furia, entro il 3 dicembre. Perché, allora, la Corte costituzionale si sarà pronunciata sulle obiezioni sollevate dalla Corte di Cassazione che, come è noto, ha eccepito numerosi elementi di legittimità: il premio di maggioranza alla Camera (55% dei seggi a chi conquista un voto in più degli altri) falsa fortemente il risultato elettorale, inficiando il principio della rappresentanza popolare; il premio di maggioranza al Senato conferito su base regionale rende alta la probabilità di maggioranze diverse nelle due Camere; le liste bloccate, infine, sottraggono agli elettori il potere di scelta. Se la Consulta dovesse ritenere fondata anche una sola di queste obiezioni, le leggi emanate da un Parlamento illegittimo sarebbero ancora da rispettare? C’è, a dire il vero, la possibilità che la Corte non si esprima. E’ quanto ha auspicato, dalle pagine de Il Sole 24 Ore, Roberto D’Alimonte, affermando che si tratterebbe della strada privilegiata per salvaguardare la sovranità del parlamento. Abbiamo chiesto un parere in merito a Nicolò Zanon, costituzionalista e membro del Csm.



Quali sono i nodi posti dal giudizio che la Corte si accinge a esprimere?

Vi è un notevole problema legato alla carenza di incidentalità; come afferma ormai da tempo la dottrina, l’oggetto della questione costituzionale non può esaurire senza residui l’oggetto del processo nell’ambito del quale la questione è stata posta. In tal caso, invece, coinciderebbero del tutto e non si comprenderebbe quale compito decidente potrebbe restare in capo al giudice di Cassazione, una volta che la Corte costituzionale dovesse accogliere la questione. Alla Cassazione, non resterebbe che prendere atto del giudizio della Consulta. A quel punto, ci troveremmo di fronte ad ricorso diretto del cittadino mascherato. Tale modalità di procedere (ricorso diretto), tuttavia, è ammessa dalla Costituzione esclusivamente laddove il governo ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione o quando una Regione ritenga che una legge dello Stato invada la sua sfera di competenza.



Quindi?

La Corte farà una battaglia al suo interno sull’ammissibilità delle questione di costituzionalità.

E se la questione fosse ammessa?

Va detto, anzitutto, che la censura che non solo ha maggiori probabilità di essere esaminata nel merito, ma che sarà considerata cruciale, è quella legata al premio di maggioranza alla Camera. A quel punto, difficilmente la Corte potrebbe limitarsi ad affermare che, in virtù della discrezionalità del legislatore, non le compete esprimere un giudizio in merito a soluzioni alternative al premio o alle eventuali soglie per ottenerlo. Certo, potrebbe anche, in via del tutto teorica, considerare ammissibile la questione, per decidere che esiste nel merito una discrezionalità del legislatore. Tuttavia, per i sostenitori dell’incostituzionalità che avranno indetto una battaglia campale sull’ammissibilità della questione, non esprimere a quel punto un giudizio nel merito (e non esprimerlo negativamente) rappresenterebbe uno spreco di energia. In ogni caso, l’eventuale pronuncia sul premio alla Camera, determinerà un analogo provvedimento per quello al Senato.



 

Nel merito, quindi, cosa accadrà? Secondo D’Alimonte, la Corte non può non tenere conto del fatto che l’eliminazione del premio di maggioranza renderebbe il sistema puramente proporzionale.

In effetti, l’accoglimento della questione determinerebbe la vigenza di un sistema che, magari, al legislatore potrebbe non andare affatto bene. Un bel problema, dato che l’articolo 28 della legge 87 del 1953 afferma che «il controllo di legittimità della Corte costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento». Ebbene, è proprio quello che farebbe la Corte, esprimendosi sulla cancellazione tout court del premio, sulle soglie minime e massime, sui metodi di calcolo e via dicendo. C’è un’altra insidia: far cadere del tutto il premio esige la certezza che la normativa di risulta sia immediatamente applicabile. Ciò perché, dato che la legge elettorale è costituzionalmente necessaria, l’eventuale pronuncia della Corte non può esporre il Parlamento al rischio anche solo teorico di una paralisi di funzionamento.

 

Secondo D’Alimonte, se la Corte si esprimesse sulle liste bloccate, non potrebbe fare a meno di affermare che l’unica alternativa accettabile sono le preferenze o i collegi uninominali.

No, francamente mi pare impossibile che possa spingersi fino a questo punto.

 

In generale, sarebbe preferibile che la Corte non si esprimesse?

Diciamo che se si esprimesse con una pronuncia di accoglimento, supererebbe con eccessiva larghezza la spiegata carenza di incidentalità prescritta dall’articolo 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948; la Corte, così facendo, creerebbe un precedente significativo e realizzerebbe a colpi di sentenza una revisione costituzionale che riguarda proprio il sistema di accesso alla giustizia costituzionale. Si tratterebbe, inoltre, di un‘ulteriore sconfitta della politica su una questione cruciale. La legge elettorale sarebbe costruita dalla magistratura ordinaria (la Cassazione, che ha emanato l’ordinanza di remissione) e dalla Corte costituzionale. Certo, se il legislatore continua a rinunciare a fare il suo mestiere, è evidente che il vuoto di politica continuerà a essere colmato da altri poteri.  

 

(Paolo Nessi)

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