L’impressione di fondo è che il Pdl debba chiarirsi le idee non solo sulle strategie dell’immediato, ma anche e soprattutto sul proprio destino. La decadenza di Berlusconi è imminente e, nonostante i continui “penultimatum”, l’ipotesi di far cadere il governo sembra piuttosto remota. L’unica certezza è che, all’interno del partito, convivono due anime inconciliabili che non sono state in grado di separarsi consensualmente e che, quando il loro leader sarà estromesso dal Parlamento, dovranno iniziare a ragionare seriamente sul da farsi. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera.
Come giudica l’atteggiamento del Pdl nei confronti della Cancellieri?
Se la sta giocando bene. Anzitutto, perché ha sottolineato una questione di principio non da poco: è venuta meno ai suoi doveri d’ufficio o no? Evidentemente, no, perché non ha chiamato i magistrati per convincerli a scarcerare la Ligresti ma ha semplicemente incaricato i dipendenti dell’amministrazione penitenziaria, che dipendo dall’Interno, di verificare le sue condizione di salute. Non si può neppure dire che si sia trattato di un favoritismo, dato che ha agito in maniera analoga in una altro centinaio di casi.
Non crede che la stia difendendo nell’ipotesi di ricevere, in futuro, una contropartita (una riforma della giustizia favorevole, o, rispetto alla pena detentiva di Berlusconi, un trattamento di favore)?
Il caso Berlusconi è talmente di fronte agli occhi di tutti che qualunque scambio di favori si esporrebbe all’immediato giudizio dell’opinione pubblica.
In che condizioni versa il Pdl?
L’incertezza è forte; anzitutto, è legata all’angoscia di Berlusconi per la sua sorte personale. La sorte di Berlusconi, a sua volta, rappresenta per l’intero partito una questione politica. Su tali circostanze, si innesta un altro fattore di indeterminatezza: il Pdl non sa se dispone o meno dell’arma di cui, normalmente, dispongono tutti i partiti di maggioranza.
La minaccia di far cadere il governo.
Esatto. Al Senato, con ogni probabilità continuano a non esserci i numeri. Per questo, Berlusconi sa che può spingere la sua polemica solo fino a un certo punto, superato il quale rischierebbe la smentita e la perdita, nel centrodestra, di ogni autorevolezza. D’altro canto, per lui sarebbe stato molto più semplice aprire una crisi su questioni che riguardano la legge di stabilità. Tuttavia, il voto sulla decadenza è stato posticipato rispetto al voto in Parlamento sulla finanziaria. Questo, nonostante il furbo tentativo dei 5 Stelle di anticipare il voto sull’espulsione dell’ex premier dal Senato, in modo da dargli un alibi per far cadere il governo. C’è, infine, un ultimo elemento di insicurezza.
Quale?
Berlusconi non è così convinto di avere i due terzi del Consiglio nazionale del Pdl, l’unico ad avere l’autorità legale per sciogliere il partito. Per questo finora non l’ha convocato.
In questo scenario, che senso ha la richiesta di primarie da parte di Alfano?
E’ la risposta all’offensiva di Fitto, che ha chiesto un congresso in cui contarsi e dimostrare che gli assetti sono spostati in suo favore. Alfano sa bene che gli equilibri, con le primarie per indicare il premier di coalizione, potrebbero volgere a suo vantaggio. D’altra parte, l’affermazione di Fitto secondo cui il dopo Berlusconi lo deciderà solo Berlusconi, è infondata. Il dopo Berlusconi si deciderà nel momento in cui il Pdl si troverà senza un leader da candidare alla elezioni.
E se Berlusconi si impunta e vuole indicare lui il successore?
La questione resta aperta. Alfano, come chiunque altro, sa bene che il futuro del Pdl non si può sviluppare contro Berlusconi. Non è un caso che il ministro dell’Interno, una sera sì e una no, vada a cena a casa sua, dopo che l’ex premier ha fatto colazione con i falchi, pranzato con i lealisti e preso il caffè con i mediatori.
A quale condizioni una scissione sarà inevitabile?
Se i falchi imporranno ad Alfano l’umiliazione di rendersi complice della caduta del governo per non essere tacciato di tradimento. Opzione che, come già detto, è piuttosto improbabile. Berlusconi ci ha già provato il 2 ottobre, e non c’è riuscito.
(Paolo Nessi)