Tanto è ormai acclarata la vittoria di Renzi quanto nebuloso il suo programma in caso di vittoria. La vaghezza, del resto,  è la principale contestazione che gli rivolgono avversari e detrattori. Ciò non sarà sufficiente, a quanto pare, neppure a insidiare o erodere quota del suo consenso. Diventerà segretario del Pd a mani basse. E poi? Abbiamo chiesto a Dario Nardalla come cambierà il Pd di Renzi e, soprattutto, come cambieranno i rapporti tra partito e governo, anche e soprattutto alla luce delle recenti dichiarazioni di Bersani: «Il Paese ha bisogno di ripartire, di ritrovare la fiducia. Io non credo che tale compito possa essere assolto dai governi di necessità, buoni per affrontare un’emergenza».



Nel suo partito, pare che ci siano decine di irregolarità nei tesseramenti.

La guerra delle tessere, francamente, mi pare frustrante per l’immagine del partito. Sarebbe meglio concentrasi sulle proposte e sui profili delle candidature e lasciare che la Commissione di garanzia accerti le effettive irregolarità.

In ogni caso, il comitato promotore della campagna di Cuperlo canta vittoria: è sostenuto da 49 segretari vincitori dei congressi contro i 35 che sostengono Renzi.



I numeri che risultano a noi sono differenti. A parte questo, la platea di elettori del congresso nazionale non coinciderà con quella dei congressi locali, dato che potranno votare anche i non iscritti. Va anche detto che, in diversi congressi provinciali, i segretari eletti erano cuperliani perché, in seguito ad un accordo all’interno del partito, si è optato per una candidatura unitaria. E’ giusto che le logiche legate al territorio non siano rigidamente incasellate nelle ripartizioni nazionali.

Come sarà il Pd di Renzi?

Anzitutto, meno romanizzato e più attento al territorio. Nascerà dalle amministrazioni locali, dalla buona politica di cui gli italiani ancora si fidano. Il contrario dell’attuale partito, burocratizzato e ingessato nella gestione consociativa delle correnti. Rappresenterà, inoltre, una sinistra moderna e innovatrice. A partire dal superamento del complesso di minoranza e della sconfitta a tutti i costi.



Sul fronte di contenuti, invece, quale sarà la novità?

Mi aspetto di vedere un partito che faccia per l’Italia quello che fece per la Gran Bretagna il New Labour di Blair. Per esempio, affrontando il tabù della riforma della pubblica amministrazione, riducendo la spesa improduttiva attraverso non di certo dei tagli lineari ma selettivi; il Senato, inoltre, non va ridimensionato, o modificato come si sente dire ma abolito; occorre una riforma fiscale nel segno dell’equità e volta a ridurre l’imposizione (e a invertire l’immagine di una sinistra che per anni ha aumentato le tasse); infine, credo che la sinistra potrà dimostrare di sapere agire secondo una prospettiva sussidiaria, superando la contrapposizione tra stato e cittadino.

Secondo Bersani, un governo di larghe intese come questo non può essere in grado di far ripartire il Paese. Meglio staccare la spina.

Anzitutto, dobbiamo ricordare che se ci ritroviamo in questa situazione eccezionale, è perché lui non ha vinto le elezioni. Nonostante il Pd fosse, nei sondaggi, il superfavorito.

 

Bersani è convinto che se le trattative di governo con i 5 Stelle «si fossero svolte con un presidente della Repubblica eletto che avesse avuto sul tavolo la pistola dello scioglimento delle Camere, il quadro e le conclusioni sarebbero state diversamente».

Francamente, mi pare un ragionamento ex post basato, più che altro, su una lettura di convenienza. Non mi pare, del resto, che Bersani abbia mai indicato, ai tempi, lo scioglimento della Camere come un’opzione praticabile. Insomma,  con i “se” non si fa la storia. Peraltro, non può rinfacciare alcunché a chi, annunciandolo con trasparenza, decise di non votare Marini: Bersani avrebbe dovuto comprendere gli umori e i sentimenti del suo partito, dato che ne era il segretario e il candidato leader. Altresì, è curioso che da ex segretario attribuisca ad altri colpe e responsabilità che erano sue. D’altro canto, se le colpe non fossero state sue, perché si sarebbe sentito in dovere di dimettersi?

 

In ogni caso, con Renzi segretario, quale sarà l’atteggiamento del Pd nei confronti del governo?

Intendiamo sostenerlo lealmente, ritenendolo a tutti gli effetti il “nostro” governo (e in questo, credo che Letta sbagli nel ribadire continuamente che questo esecutivo non è quello che voleva lui); di conseguenza, lo incalzeremo ogni volta che sarà necessario. Non intendiamo fare i guastatori né accodarci passivamente.

 

In quali casi non potrete fare a meno di sottrarre la fiducia?

Nel momento in cui dovesse allontanarsi agli obiettivi principali per i quali ha ottenuto la fiducia, sarà Letta il primo a prenderne atto.

 

La spaccatura con i cuperliani rispetto al sostegno al governo potrebbe esser tale da portare ad una scissione?

Penso che la stagione della frammentazione della sinistra sia finita e che, al contrario, sia giunto il momento di affermare una vocazione maggioritaria in grado di includerne le anime più diverse.

 

(Paolo Nessi)