In un primo momento, l’ufficio di presidenza del Pdl ha azzerato tutte le cariche del partito, a partire da quella del segretario Alfano, decretando la rinascita di Forza Italia. L’esito della riunione dovrà essere ratificato dal Consiglio nazionale che, di Alfano, potrebbe azzerare pure l’esistenza (politica, s’intende). Pare che Denis Verdini disponga di un documento, che Il Tempo ha avuto modo di visionare in anteprima, che non lascia spazio a equivoci: degli 850 delegati nazionali, il 75 per cento è schierato con Fitto e con il ritorno a Forza Italia, gli altri si dividono tra indecisi e alfaniani. Abbiamo chiesto a Francesco Verderami, firma politica del Corriere della Sera, come potrebbe evolvere la situazione.



Un documento in mano a Verdini attesterebbe che la stragrande maggioranza dei delegati del Consiglio nazionale si schiererà per la linea di Fitto e a favore della rinascita di Forza Italia. Gli alfaniani, quindi, sono in minoranza.

Posto che anche Alfano si è espresso a favore della rinascita di Forza Italia a leadership berlusconiana, bisognerà intanto verificare se la maggioranza esiste realmente nel partito. Il punto però non è questo. Il vero problema è se il Pdl sia in grado di sopravvivere ad una conta interna. Nel caso non ci riuscisse, e si spaccasse, la frattura sarebbe esiziale per entrambe le anime del partito. Inevitabilmente, infatti, il centrodestra dovrebbe star fermo (almeno) un giro prima di poter tornare ad essere competitivo con il centrosinistra. Ecco perché le personalità più avvedute delle due correnti vogliono evitare lo strappo, sapendo di dover fare i conti con chi preme per la scissione.



Non crede che le due anime potrebbero sopravvivere tranquillamente ad una scissione?

Sarebbe un evento traumatico e non sarebbe a costo zero. I “lealisti” si troverebbero proiettati su posizioni molto vicine a quelle grilline. Ora, a parte la difficile competizione elettorale con i 5 stelle, questa piattaforma politica potrebbe essere abbracciata da alcuni, ma non da tutti: penso soprattutto a Fitto. Dall’altra parte mi chiedo che senso avrebbe per gli “innovatori” fondare un partito “diversamente berlusconiano”. A mio avviso rischierebbe di avere un ruolo piuttosto marginale. E credo che anche Alfano lo pensi.



Potrebbe allearsi con il centro.

Finché ragioniamo secondo uno schema bipolare (e non dimentichiamo che Berlusconi, Renzi, e Grillo sono a vario modo favorevoli al mantenimento del porcellum), è necessaria l’esistenza di due grandi partiti che possano far da cardine al sistema. Se nel centrodestra la forza principale si disgregasse, mancherebbe uno dei due poli attorno a cui costruire le alleanze.

 

In tale contesto, che senso ha la richiesta di celebrare un congresso da parte di Fitto e di indire le primarie da parte di Alfano?

Congressi, primarie, documenti, segretari che non coincidano con il candidato premier… Mi pare che il centrodestra abbia introiettato i tic degli avversari. E non è un caso: la sindrome dei democratici si è impossessata del Pdl proprio nel momento in cui va declinando la stella di Berlusconi. Ma attenzione, l’elettore di centrodestra – che per vent’anni ha avuto un leader – non si appassiona a questi tecnicismi politici che pure rappresentano le regole base del gioco democratico. Al contrario dell’elettore di centrosinistra, è molto più lineare, e vota quella forza che possa tutelare i suoi interessi.

 

A quali condizioni sarà inevitabile che Berlusconi tenti di far cadere il governo?

Il primo passaggio determinante consisterà nell’approvazione in Parlamento della legge di stabilità. Per il centrodestra, condizione necessaria per l’appoggio al governo era e resta la cancellazione dell’Imu sulla prima casa. Infatti, Alfano ieri si è affrettato per l’ennesima volta ad assicurare che non si dovrà pagare la seconda rata dell’Imu, come invece ipotizzato (per l’ennesima volta) da Saccomanni.

 

Cosa faranno i governativi?

Se in materia economica il programma del governo venisse disatteso rispetto alle questioni poste dal Pdl, Alfano e i cosiddetti governativi non potrebbero evidentemente fare altro che votare la sfiducia. In caso contrario, sconfesserebbero se stessi.

 

E se nel votare la legge di stabilità non ci fossero incidenti, cosa succederebbe?

Si arriverebbe all’altro passaggio fondamentale, che è quello della decadenza di Berlusconi.

 

Berlusconi, verosimilmente, sarà espulso dal Parlamento. Di conseguenza, si aprirà la crisi?

Attenzione: al contrario di molti esponenti del Pdl, Berlusconi non ha mai posto pubblicamente il vincolo dell’automatismo. Non ha mai detto che se venisse dichiarato decaduto, aprirebbe la crisi di governo. Ha girato attorno alla questione, in modo più o meno esplicito, ma non l’ha mai formalizzata, neppure nel documento appena approvato dall’Ufficio di presidenza del suo partito. 

 

Secondo lei, perché?

Perché non ha ancora deciso. Sia chiaro, in cuor suo Berlusconi ha scelto: non sopporta l’idea di dover stare in maggioranza con chi lo mette alla porta del Parlamento. Ma sta valutando le incognite di una simile mossa. La prima: davvero avrebbe convenienza nel far cadere il governo, trovandosi poi ai margini di tutte le decisioni importanti? Mi riferisco ai provvedimenti economici e alla trattativa sulla nuova legge elettorale, per esempio. E poi, quale impatto avrebbe tutto ciò sul suo elettorato? Ha ben presente, infatti, la situazione economica e sociale del Paese, e non gli sfuggono i contraccolpi che si determinerebbero per le sue aziende. Inoltre, agli occhi dell’opinione pubblica non sarebbe comprensibile che il capo del centrodestra, che è stato il vero promotore della larghe intese, si rendesse artefice della loro fine.

 

In tutto ciò, come giudica l’atteggiamento del Pd?

È un atteggiamento provocatorio. E’ chiaro che intende celebrare il congresso sul cadavere (politico) di Berlusconi e che ha tutto l’interesse che il Pdl si spacchi, magari per motivi differenti: Letta per tentare di resistere a Palazzo Chigi, Renzi per tentare di arrivare alle elezioni nel 2014. Va letto in tal senso il rifiuto ad oltranza di consentire alla Giunta per le elezioni del Senato di sollevare l’obiezione di costituzionalità in merito alla retroattività della legge Severino, che esige l’incandidabilità (quindi la decadenza) di Berlusconi. Va interpretata analogamente anche la pretesa di voto palese sulla decadenza. Insomma, l’obiettivo dei Democratici era e resta quello di far fuori il prima possibile Berlusconi. Così, nella smania di regolare i conti con il “nemico”, non si sono preoccupati di determinare vulnus gravissimi al sistema democratico. E loro lo sanno.

 

(Paolo Nessi)