Caro Direttore,
Oggi Papa Francesco, nell’udienza del mercoledì, ha parlato delle conseguenze della tensione alla santità. E sulla carità ha detto:
“Veniamo al terzo aspetto della comunione alle cose sante, cioè la comunione della carità, l’unità fra noi che fa la carità, l’amore. I pagani, osservando i primi cristiani, dicevano: ma come si amano, come si vogliono bene! Non si odiano, non sparlano uno contro l’altro. Questa è la carità, l’amore di Dio che lo Spirito Santo ci mette nel cuore. I carismi sono importanti nella vita della comunità cristiana, ma sono sempre dei mezzi per crescere nella carità, nell’amore, che san Paolo colloca al di sopra dei carismi (cfr 1 Cor 13,1-13). Senza l’amore, infatti, anche i doni più straordinari sono vani; questo uomo guarisce la gente, ha questa qualità, quest’altra virtù… ma ha amore e carità nel suo cuore? Se ce l’ha bene, ma se non ce l’ha non serve alla Chiesa. Senza l’amore tutti questi doni e carismi non servono alla Chiesa, perché dove non c’è l’amore c’è un vuoto che viene riempito dall’egoismo. E mi domando: se tutti noi siamo egoisti, possiamo vivere in comunione e in pace? Non si può, per questo è necessario l’amore che ci unisce. Il più piccolo dei nostri gesti d’amore ha effetti buoni per tutti! Pertanto, vivere l’unità nella Chiesa e la comunione della carità significa non cercare il proprio interesse, ma condividere le sofferenze e le gioie dei fratelli (cfr 1 Cor 12,26), pronti a portare i pesi di quelli più deboli e poveri. Questa solidarietà fraterna non è una figura retorica, un modo di dire, ma è parte integrante della comunione tra i cristiani. Se la viviamo, noi siamo nel mondo segno, “sacramento” dell’amore di Dio. Lo siamo gli uni per gli altri e lo siamo per tutti! Non si tratta solo di quella carità spicciola che ci possiamo offrire a vicenda, si tratta di qualcosa di più profondo: è una comunione che ci rende capaci di entrare nella gioia e nel dolore altrui per farli nostri sinceramente”.
Questa comunità dei cristiani invade e pervade il mondo, e secondo il mio parere interessa anche la ricostruzione della politica e la partecipazione attiva al fare politica. Gli amici mi hanno posto questa domanda: “Perché partecipare alla politica oggi?”.
Tutto sembra dire che solo i grandi personaggi decidono e che dal basso si può solo decidere di votare per il meno peggio, anzi che non vale neanche la pena votare.
In particolare l’amico Francesco ricorda la fine della politica tradizionale, oggi la politica è più feroce e più vuota. E per questo gli sembra impossibile partecipare se non come presenza nel potere.
Vediamo meglio come lo dice: “I mutamenti geopolitici mondiali in corso, la globalizzazione su base tecnologica avanzante, la fine culturale dell’epoca moderna hanno già messo in crisi lo schema del fare politica di derivazione ottocentesca su base partitica. Forse per questo la politica, non solo quella italiana, è sempre più vuota e insieme sempre più feroce. È diventata un luogo di potere che in realtà ne gestisce una piccola porzione e che perciò cerca di sopravvivere badando freneticamente a se stesso, con guasti gravissimi inferti alla reale realtà politica di cui nessuno è in grado di occuparsi davvero. La crisi è cioè di sistema e da essa saremo sempre più trascinati fino a che non si sarà in grado di pensarla davvero a fondo e di gestirla in qualche misura. Il mio non è catastrofismo, o gusto intellettuale dei massimi sistemi, ma é una domanda sulla “realtà” della politica, cioè sulle condizioni alle quali essa possa tornare almeno un po’ a mordere la realtà.”
Concordo, si pone la questione di pensare davvero a fondo la crisi e di gestirla. Ma la questione va affrontata con una visione d’insieme che ci permetta di capire che cosa è cambiato.
Nel novecento ci sono due periodi, dal secolo precedente si è avuto Il Terzo Stato e poi qualcuno ha iniziato a parlare del Quarto Stato, ovvero le parti sociali diventavano partiti e lottavano per far valere le proprie ragioni. Per questo da noi, in Italia, nacque il partito di don Sturzo, il Partito Popolare. Poi un cambiamento è avvenuto nel dopoguerra, rimaneva solo il comunismo a ridurre la politica a lotta di classe, e dunque a lotta dei proletari contro i borghesi. Con il crollo delle ideologie siamo entrati nell’era post-ideologica. Da noi il Partito Popolare diventa la Democrazia Cristiana, ovvero la sfida dei cattolici alle ideologie, comunismo e fascismo.
La democrazia occidentale, fondata sull’irriducibile bisogno di libertà, ha fatto crescere il primato dello sviluppo economico, e per questo l’economia ha preso il sopravvento sulla politica, per la libertà di intrapresa e per liberare tutte le energie dello sviluppo.
Progressivamente il problema della democrazia è diventato potere di controllo sociale per avere la stabilità dei sistemi nazionali, al fine di lasciar sviluppare la progettazione ventennale e più dei grandi movimenti di capitali.
Per questo nel ’63 nasce il Centro-sinistra, una grande coalizione fra cattolici e socialisti. Ma complessivamente nell’Occidente si svuotano i partiti di massa, luoghi di partecipazione popolare, e la questione della rappresentatività degli eletti entra in relazione con i gruppi economici costituiti in lobbies.
Questa democrazia occidentale ha vinto su tutte le altre forme che volevano fare rivoluzione e cambiare il mondo. La caduta del blocco sovietico ha visto il pieno dispiegarsi delle forze economiche, fino al superamento del capitalismo industriale. Il potere non aveva più bisogno della borghesia, si è concentrato in partiti di casta e ha prodotto un verticismo della democrazia, una democrazia che non ha avuto più la partecipazione della maggioranza al voto. Infine la democrazia si è ridotta a solo ragioni del potere , e il potere è diventato potere dell’alta finanza. Da questo la distorsione che ha provocato la crisi del 2008, che ha visto insieme le speculazioni finanziarie fallire e i le persone escluse dalla politica, sempre meno motivate nel generare sviluppo.
Allora quale è la questione centrale della politica oggi?
Il bisogno del ridimensionamento del potere finanziario al fine di progettare la società, nelle singole nazioni e nel mondo, con la guida della politica sulla economia. Ovvero un nuovo contenuto dell’idea di bene comune.
Non si può continuare a cercare lo sviluppo quantitativo del prodotto interno lordo, nelle società più sviluppate non si tratta più di sviluppo industriale, ma di remunerazione dei capitali.
Ma non c’è alcuna politica che possa ricomporre il senso comunitario dello sviluppo per l’uomo. Ovvero c’è il bisogno di un ritorno delle ragioni ideali . Cioè il ritorno alla democrazia come libertà di pensiero e di movimenti e opere.
Proviamo a pensare allo sviluppo come espressione delle energie migliori di ogni popolo. Creatività, qualità del vivere, comunità solidale, rispetto della natura e sviluppo delle realtà specifiche del territorio. Non si tratta di utopia, ma certo si tratta di dominare le leggi materialistiche della concorrenza e dell’accumulazione dei capitali.
Ma da quale fonte si riproducono gli ideali e la tensione morale verso il governo responsabile della vita comune, della democrazia ? Noi abbiamo la certezza che la Fede cattolica è la sola forza in grado di rimettere in piedi la persona, vincendo il potere economico, mettendo sopra di esso la politica e mettendo sopra la politica il popolo responsabile e attivo.
La politica riprende ragione di essere solo a seguito del riaffermarsi del primato della Fede.
Di questo sono convinto, questa è la sfida che noi di Democrazia e Comunità stiamo cercando di affrontare. Con un metodo elementare, far valere nella politica il “Cosa c’entra Cristo?”.
Con queste annotazioni mi auguro di sollecitare un dibattito largo, per nuove forme di azione nella politica. Gruppi di iniziativa di diverso tipo che rispondono a questa esigenza di rimettere nel giusto ordine società, democrazia, politica, potere. Fra questi si può lavorare in rete, noi di Democrazia e Comunità lo desideriamo.