Su un punto Angelino Alfano e Enrico Letta non possono che concordare: le insidie più concrete per il governo non vengono da Silvio Berlusconi, bensì da Matteo Renzi. Anche il confronto televisivo fra i candidati alla segreteria democratica ha confermato che dopo le primarie dell’8 dicembre l’esecutivo verrà messo sotto pressione. Ecco allora l’azione a tenaglia preventiva di premier e vicepremier: da una parte l’annuncio che per la verifica in parlamento si attenderà di conoscere il vincitore della contesa interna al Pd, dall’altra il monito, che non a caso s’incarica Alfano di lanciare, perché il neo segretario non affossi il governo.
A parole Renzi sembra aver messo da parte la volontà di staccare subito la spina e si dice pronto a dare una mano al presidente del Consiglio per rendere più spedita ed efficace la marcia dell’esecutivo per tutto il 2014. Eppure Alfano e Letta non si fidano e lo attendono alla prova dei fatti. Il continuo richiamarsi del sindaco di Firenze alla necessità di mettersi a correre non lascia affatto tranquilli gli inquilini di palazzo Chigi, e Letta ne parlerà lunedì prossimo con Napolitano, quando lo incontrerà per mettere a punto i termini della verifica di governo.
Il campo obbligato su cui coloro che guidano il governo dovranno dare un segnale forte è quello del programma. Alfano ne sembra cosciente nel momento in cui dice che il governo delle larghe intese deve diventare e diventerà un governo dalle intese un po’ meno larghe ma chiare. Per lui il rischio da evitare è quello di apparire succube alla sinistra, come continuano a rinfacciargli gli ex compagni di partito del Pdl, adesso in Forza Italia. La scommessa su cui è nato il Nuovo Centro Destra è quella di smentire le facili ironie di chi – come Brunetta o Fitto – parlano di governo di sinistra-centro, anzi sinistra-centrino.
Tre sono i temi forti su cui Nuovo Centro Destra vuole (e deve) caratterizzare la sua presenza nell’esecutivo: uscita dalla crisi economica, riforme istituzionali e giustizia. Mentre sui primi due, però, l’accordo se non facile è quantomeno possibile, difficile si prospetta il dialogo sul terzo capitolo. A dimostrarlo la piccata reazione democratica alle parole di Alfano, secondo cui adesso il Pd non ha più l’alibi di Berlusconi e quindi una riforma della giustizia diventa possibile.
In realtà, se vuole far durare il suo governo, Letta avrebbe tutto l’interesse ad assecondare il suo vice. Se, sulla spinta del suo partito, Alfano e i suoi dovessero finire nell’angolo, gli ex Pdl non potrebbero sopportare a lungo un eccessivo sbilanciamento a sinistra. La frase chiave è che il neonato partito non vuole, né deve piacere alla sinistra. E, in fondo, Alfano non ha torto quando si richiama alla dura legge dei numeri, ricordando che Ncd ha in Parlamento numeri sufficienti sia per far vivere il governo, sia per farlo cadere.
Se su Letta incombe il peso dell’approdo di Renzi alla segreteria democratica, su Alfano grava la pressione degli azzurri, che non sembrano intenzionati a fare sconti. Per arrivare alle urne, obiettivo dichiarato dei berlusconiani, forti anche dei buoni sondaggi del centrodestra, sarà un crescendo di attacchi. Per le urne, però, chi se n’è appena andato con Ncd non è certo pronto, e quindi lavorerà per evitare un simile scenario.
Non paghi di aver ottenuto dal Quirinale un nuovo passaggio parlamentare per sancire la discontinuità di governo, gli azzurri ora vogliono che Letta alle Camere si presenti da dimissionario. Quando un premier sale al Colle per rassegnare le dimissioni, si sa, può succedere di tutto. Persino nel caso in cui si tratti di un passaggio concordato per essere rimandato alle Camere a verificare il sostegno all’esecutivo.
Se Letta e Napolitano non accederanno alla richiesta di dimissioni formali, dentro Forza Italia si valuta persino l’ipotesi della presentazione di una mozione di sfiducia. Anche sulle dimissioni dei sottosegretari, gli azzurri non sembrano avere troppa fretta, e cresce il sospetto che in questo ci sia una regia per tenere l’esecutivo sulle spine.
C’è poi un altro fronte su cui i forzisti scaldano i motori, quello della legge elettorale. Se in settimana la Corte costituzionale dovesse arrivare a dichiarare l’illegittimità del premio di maggioranza che è stabilito dal “porcellum”, è in preparazione una forte campagna per invocare le elezioni anticipate, in virtù della delegittimazione delle Camere che discenderebbe da una simile sentenza.
Probabilmente, però, la sentenza della Consulta sarà più problematica e sfumata, perché ai 15 giudici non può certo sfuggire il potenziale effetto dirompente della pronuncia e in passato mai sono state create dalla giurisprudenza della Corte situazioni di vuoto legislativo. Il problema di trovare un’intesa su un modello di legge elettorale è fra i più urgenti per Alfano, Letta e Renzi. E trovare una formula che vada bene a tutti, senza vincitori, nè vinti, non sarà facile. Ma sarà quello solo il primo capitolo di un’intesa programmatica rinnovata per il prosieguo dell’esperienza di Letta e Alfano a Palazzo Chigi. La chiarezza delle intese raggiunte in Germania fra cristiano-democratici e socialisti indicano che l’impresa è difficile, ma non impossibile.