“Renzi non ha nessun interesse a fare cadere Letta e ad andare subito alle elezioni. Il tempo può giocare a favore del segretario del Pd, che ha già in mente una chiara strategia per approvare una nuova legge elettorale”. Lo afferma Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, secondo cui “per Renzi non avrebbe senso votare ora con la ‘legge elettorale-spezzatino’ rimasta in piedi dopo la sentenza della Consulta, e soprattutto scontentare gli elettori del Pd che vogliono che Letta rimanga al suo posto”. Le prime mosse di Renzi dopo la scelta dei nomi della segreteria del partito sono state il pressing su Cuperlo perché accetti la presidenza del Pd e il no a Bindi e D’Alema candidati alle elezioni europee. Intanto Vendola, in un’intervista all’Espresso, ha invitato il neo segretario a mollare Letta e a unirsi con Sel.



Polito, partiamo dal voto di fiducia di oggi. Qual è il significato politico di questo appuntamento?

Il timing del voto di fiducia è quantomeno un po’ anomalo. Si sarebbe potuto fare subito dopo l’uscita di Berlusconi dalla maggioranza, ma sarebbe stato un controsenso perché la notte stessa il Senato aveva approvato con voto di fiducia la legge di stabilità. Mai crisi è stata più parlamentale di quella dopo la frattura con Forza Italia, e il voto di fiducia c’è stato “in ipso facto”. A questo punto però avrebbe avuto più senso votare la fiducia dopo una verifica sul programma di governo della maggioranza che nel frattempo, con l’uscita di Berlusconi e la vittoria di Renzi, aveva visto cambiare i suoi protagonisti.



Renzi in questo momento può capitalizzare al massimo i suoi consensi andando a elezioni anticipate. Pensa che lo farà?

E’ tutto da dimostrare che a Renzi convenga andare a votare subito. Potrebbe sfruttare l’onda delle Primarie, ma consideriamo anche gli aspetti negativi legati a un voto anticipato. In primo luogo dovrebbe produrre una crisi di governo, e questa non sarebbe una posizione molto popolare quantomeno tra gli elettori del Pd. Nella campagna precedente le consultazioni soltanto Civati aveva espresso questa posizione, mentre Renzi ha sempre escluso l’apertura di una crisi di governo. Facendo cadere Letta, Renzi si assumerebbe una responsabilità che confermerebbe i sospetti sul carattere “avventuristico” della sua politica, e che potrebbe essere punita dal suo stesso elettorato.



Se si aspettasse fino al 2015, Renzi non rischia di bruciare la sua candidatura a premier?

E’ presto per dire se Renzi sosterrà Letta fino al 2015, ma di certo non lo farà cadere subito. Andare a votare ora significherebbe farlo con la “legge-spezzatino” che ci rimane dopo il “taglia e cuci” della Corte costituzionale. Si andrebbe a votare con una legge proporzionale, in cui Renzi prenderebbe solo la percentuale di seggi corrispondente ai voti popolari. Anche arrivando al 35% dei voti, Renzi avrebbe soltanto un terzo dei parlamentari e dovrebbe trovare alleanze per almeno un altro 15%, mettendosi nelle mani di quanti dispongono di questo potere di coalizione. Salterebbe così l’intera impostazione politica di Renzi, che è bipolare e maggioritaria. Lo stesso Renzi ha dovuto prendere atto di questo insieme di fattori, affermando che “la sfiducia al governo Letta non è all’ordine del giorno”.

 

In che modo Renzi affronterà il passaggio delle riforme istituzionali e della legge elettorale?

Il primo prodotto della sentenza della Corte costituzionale, dell’uscita di Forza Italia dalla maggioranza e della vittoria di Renzi è che la modifica dell’articolo 138 della Costituzione finirà in un cassetto. Al suo posto il governo presenterà un disegno di legge costituzionale per abolire il bicameralismo. Renzi vuole che ciò avvenga abolendo del tutto il Senato, e lasciando in piedi solo un’assemblea non elettiva composta dai presidenti delle Regioni e dai sindaci delle grandi città. Quagliariello immagina invece un Senato elettivo di 200 membri privato dei poteri di fiducia al governo.

 

Ritiene che per approvare la legge elettorale si debbano attendere le riforme costituzionali?

No. In un primo momento si immaginava che tra le riforme costituzionali ci potesse essere anche il cambiamento della forma di governo, per esempio con un premierato forte, un cancellierato, un presidenzialismo o un semipresidenzialismo. Se si fosse continuati su questa impostazione sarebbe stato sensato decidere prima la forma di governo e poi la legge elettorale. Ma avendo ormai rinunciato tacitamente a un’ambizione così grande dopo l’uscita di Berlusconi dalla maggioranza, non ha più senso aspettare le riforme costituzionali per fare la legge elettorale. A questo punto non c’è motivo per indugiare oltre, e il Parlamento deve solo scegliere tra due differenti modi di procedere.

 

Quali?

Da un lato Renzi preferirebbe prendere in mano la partita personalmente, contattando tutte le forze parlamentari e cercando di trovare un’intesa in Parlamento a cominciare dalla Camera. Se non trovasse un’intesa, l’ipotesi del neo-segretario del Pd è di fare approvare comunque una legge alla Camera e poi portarla al Senato, minacciando le elezioni anticipate qualora Palazzo Madama dovesse votare no.

 

Quale alternativa ci sarebbe a questo modo di procedere?

Un’altra scuola di pensiero prevede invece che siano i partiti a fare il primo tentativo, e se questo non dovesse riuscire dovrebbe essere la maggioranza a presentare la sua proposta.

 

Dove sta la differenza di fondo tra queste due impostazioni?

La differenza di fondo è che se la legge elettorale la fa la maggioranza questo vuol dire che il governo prosegue, mentre se ad approvarla fosse una maggioranza diversa da quella di governo è molto difficile che dopo averla fatta Letta non cada.

 

(Pietro Vernizzi)