Il dopo fiducia è segnato da una prova di forza sulla legge elettorale: ieri Pd, Sel e M5S si sono accordati per spostare la legge elettorale dalla Commissione affari istituzionali del Senato (presidente Annamaria Finocchiaro, Pd) a quella della Camera, ottenedo il via libera dai presidenti Boldrini e Grasso. Il vero problema è che non si sa ancora cosa voglia fare Matteo Renzi, se intenda cioè a sostenere fino in fondo lo schema di Enrico Letta (legge elettorale incardinata in una riforma istituzionale) oppure arrivare subito a una legge elettorale. L’allarme è suonato dopo un’intervista di Renzi a La Stampa, nella quale il neosegretario del Pd ha detto di temere che Angelino Alfano (Ncd) voglia solo perder tempo. “Ho una mia exit strategy, un canale aperto anche con Berlusconi e Grillo, che la riforma adesso la vogliono davvero. E se il Nuovo centrodestra divaga, vuol dire che lavoreremo con qualcun altro” ha dichiarato il sindaco. 
Non si è fatta attendere la replica di Gaetano Quagliariello. “La riforma si può fare solo se diventa parte di un accordo di governo” ha detto il ministro per le Riforme. Insomma, l’agenda la vuole dettare il Pd. Secondo il ministro, però, quella di Renzi è solo una prova muscolare. Se vuole il voto, dice Quagliariello a ilsussidiario.net, lo dica chiaro e tondo agli italiani, senza nascondersi dietro il dito delle riforme. 



Ministro, perché dovrebbero esserci le condizioni per fare ciò che non si è fatto fino ad ora?
Facciamo un passo indietro. Si è deciso di usare uno strumento, quello della commissione dei saggi, per poter collegare le diverse riforme in modo organico prima di sottoporle alla commisisone parlamentare. Per questo era necessario cambiare l’articolo 138, ma per farlo ci vogliono i due terzi dei voti di ciascuna camera. Due terzi che sono stati dati in prima, seconda e terza lettura. Non si è potuti arrivare alla quarta.



Infatti Forza Italia ha abbandonato la maggioranza ed è passata all’opposizione.
Ritengo che sia stato un grave errore, perché poteva passare all’opposizione del governo senza passare all’opposizione delle riforme. È una scelta legittima, di cui prendiamo atto.

Quindi?
Quindi è necessario cambiare percorso. È quello che stiamo cercando di fare.

Come cambia il nuovo iter delle riforme?
La strada è quella dell’articolo 138, con i quattro passaggi che richiede, due alla Camera e due al Senato. Ovviamente è un percorso più lento e bisogna tenerne conto. Probabilmente non si può fare tutto ciò che si immaginava, e occorre concentrarsi sulle cose più importanti: riforma del bicameralismo, riduzione del numero dei parlamentari, abolizione delle province e riforma del Titolo V.



Dunque non si può parlare di legge elettorale senza prima cambiare il bicameralismo perfetto. 

Il lavoro dev’essere fatto in parallelo. Prima occorre dire con chiarezza che Camera e Senato non faranno più le stesse cose, perché la camera politica sarà una sola, poi bisogna mettersi d’accordo sul nuovo numero dei parlamentari: se non sappiamo questo, come facciamo a fare una legge elettorale? Diversamente, si dica senza ipocrisie che vogliamo una legge elettorale per andare a votare subito.

Renzi è tornato ad alzare la posta. Potrebbe volere subito una legge elettorale e poi le riforme.
Allora deve dire, senza prendere in giro gli italiani, di voler andare a votare, e smettere di dire che c’è qualcuno che non vuole fare le riforme. Io non penso che Renzi abbia questa intenzione; se fosse vera, dovrebbe assumersene poi la responsabilità. E comunque, lo porteremmo noi a farlo.

A proposito di legge elettorale, lei quali ipotesi vede all’orizzonte?
Le leggi elettorali possono indurre gli elettori a votare secondo una dinamica bipolare, cercando di agevolarla, ma non possono crearla. Non possono diventare strumenti di ortopedia sociale. Se un paese è diviso in tre poli del 33 per cento, non è che la legge elettorale può creare un bipolarismo coatto. Detto questo, vedo sostanzialmente due strade.

Cominciamo dalla prima.
La prima ipotesi è una legge elettorale che intervenga sul premio di maggioranza. A questo proposito varrebbe la pena aspettare le motivazioni della sentenza della Consulta, ma ipotizziamo che si possa manipolare la rappresentanza con un premio del 15 per cento. Sarebbe un premio di governabilità nel caso in cui la coalizione vincente è andata sopra il 35 per cento. Diversamente, potrebbe essere un premio che agevola la formazione di un governo nel caso in cui quella coalizione si fermi sotto il 30, come nel caso delle ultime elezioni. Questa è la prima strada.

E la seconda?
Se la sera delle elezioni si vuol sapere chi governa, allora si fa il doppio turno di coalizione, eleggendo il cosiddetto “sindaco d’Italia”. Al secondo turno si confrontano i due candidati delle coalizioni che hanno preso più voti e chi vince prende un premio che lo porta oltre il 50 per cento. Ovviamente questa seconda strada presuppone modifiche della forma di governo, perché il primo ministro viene di fatto designato direttamente dal voto popolare.

Questa strada richiede però un accordo politico più forte.
Io credo che, vista la gravità della situazione e anche la coraggiosa operazione che abbiamo fatto noi del Nuovo centrodestra per tenere insieme il governo, non sia troppo pretendere che su questo pacchetto si faccia un accordo di maggioranza. Poi lo si sottopone alle altre forze politiche, e nel momento in cui arrivano utili suggerimenti, li si accoglie, cercando di allargare la platea di coloro che sostengono la riforma.

Cosa dovrebbe diventare il Senato?

Quella camera di compensazione tra Stato e Regioni che è mancata quando è stato fatto il Titolo V. Abbiamo devoluto alle regioni funzioni che nemmeno Stati federali compiutamente tali come Canada o Germania hanno mai fatto, basti pensare all’energia o alle grandi reti. Noi però ci siamo dimenticati di stabilire un luogo di raccordo tra il legislatore nazionale e quello regionale. Così accade che sempre più spesso si arriva al conflitto e a decidere non è né l’uno né l’altro legislatore, ma la Corte costituzionale. A pagare è il cittadino e soprattutto l’operatore economico.

Lo spostamento alla Camera della riforma elettorale è un risultato della pressione di Renzi?
Credo che sia stata una sua richiesta e, devo dire la verità, che sia stata una prova muscolare. Francamente non me ne preoccupo. Io penso che la riforma si debba fare e che la cosa importante sia se c’è o non c’è l’accordo, e non dove questo si fa, alla Camera o al Senato. Tanto al Senato la riforma deve passare in ogni caso. In secondo luogo, si può mai pensare, in una situazione del genere, di ipotizzare maggioranze variabili?

E se Renzi rompe?
È evidente che se Renzi intende fare soltanto la legge elettorale e non le altre riforme, e intende farla solo con Forza Italia e M5S, se ne dovrà assumere la responsabilità e dirlo ai cittadini. Noi non intendiamo rimanere a far da palo al bidone. 

Letta ipotizza un orizzonte elettorale di 18 mesi, basteranno?
Bisognerà correre. Per questo prima si comincia meglio è. Non per noi, ma per il paese.

(Federico Ferraù)

Leggi anche

DIETRO LE QUINTE/ Legge elettorale, i calcoli dei partiti sul "nuovo" maggioritarioLEGGE ELETTORALE/ Ecco perché il proporzionale di Conte non fa bene all'ItaliaLEGGE ELETTORALE E REFERENDUM/ Un "distanziamento" politico carico di pericoli