“Andreotti si illudeva che sarebbe stato eletto presidente della Repubblica, ci teneva molto e faceva conto di riuscirci puntando su simpatie personali e accordi trasversali. Io stesso fui incaricato da Craxi di comunicargli che non l’avremmo votato, lo chiamai ma non feci in tempo a dirglielo perché in quel momento arrivò la notizia della strage di Capaci”. E’ la ricostruzione che Claudio Martelli, all’epoca ministro di Grazia e Giustizia, fa di quella fase convulsa della politica italiana. Nel corso del processo sulla trattativa Stato-mafia, il pentito Giovanni Brusca ha raccontato che Totò Riina ideò la strategia stragista del 1992 proprio per impedire ad Andreotti di diventare presidente della Repubblica. Una vendetta per l’esito del Maxiprocesso in Cassazione, che portò alla condanna della Cupola mafiosa giudicata come diretta mandante di tutti gli omicidi di Cosa Nostra.



Martelli, lei che cosa ne pensa della ricostruzione di Brusca?

Sono abbastanza scettico sul fatto che un pentito con la bava alla bocca, soprannominato dai suoi complici “u verru”, cioè il porco, si metta a parlare di strategie politiche. Non sono portato ad attribuirgli molta importanza e attendibilità, anche perché Giovanni Brusca non è Buscetta.



Nel 1992 Andreotti aveva realmente delle chance di salire al Quirinale?

No. Il Psi non era assolutamente intenzionato a votarlo, Craxi glielo disse esplicitamente e io lo chiamai per ribadirglielo. Né Pds né i Repubblicani erano intenzionati a votare per Andreotti, e anche nella Dc era ben lontano dal riscuotere delle simpatie unanimi. La sua sarebbe stata una candidatura allo sbaraglio e non sarebbe passato. Nonostante le illusioni di Andreotti di avere ancora vaste simpatie nel Parlamento, le sue erano pure e semplici velleità.

Davvero Andreotti era così ingenuo?

Andreotti si illudeva, o forse lo illudevano alcuni dei suoi. Ci tenevano molto, ci speravano, facevano i loro calcoli puntando su simpatie personali e accordi trasversali.



Eppure Andreotti ha sempre avuto la fama del politico realista …

Quasi tutti i democristiani si sono illusi, a partire da Fanfani.

 

Che cosa rispose Andreotti quando lei lo chiamò per dirgli che il Psi non lo avrebbe votato?

Veramente non ho fatto in tempo a dirglielo, perché è squillato il telefono e c’è stato l’annuncio dell’attentato di Capaci, che in quel momento non si sapeva ancora che fosse stata una strage. La conversazione quindi si interruppe. Comunque era quello il mandato che avevo, e che avevo concordato con Craxi e con l’intero vertice socialista.

 

In che modo la strage di Capaci influì sull’esito del voto per il Quirinale?

La strage di Capaci diede un’accelerazione, e quindi si dovette trovare una soluzione di natura istituzionale. Era quest’ultima a incontrare le minori resistenze e i maggiori favori, tanto da prospettarsi come una scelta di unità nazionale. Il candidato del Quadripartito, Forlani, non era passato, e quindi ci voleva una maggioranza più ampia. La si trovò attorno alla figura che già aveva ottenuto la maggioranza della Camera, cioè Oscar Luigi Scalfaro. La strage di Capaci determinò insomma un’emergenza drammatica nella vita del Paese, tanto da spingere a trovare la via più unitaria, semplice e diretta.

 

Torniamo alle testimonianze nel processo sulla trattativa. C’è la possibilità che Brusca sia stato imboccato dai pm?

Come disse Gesù a Pilato, questo l’ha detto lei.

 

Quindi quest’ultima è soltanto una congettura?

Non è che può rifarmi la stessa domanda rovesciandola. Non sono nato ieri.

 

Proprio perché non è nato ieri, saprà che secondo Brusca nei piani di morte di Riina c’era anche lei. Lei che cosa ne pensa di questa affermazione?

Sono lusingato. Che Brusca mi volesse eliminare mi lusinga decisamente.

 

Battute a parte?

I piani per eliminarmi c’erano. Ci furono ammonimenti, minacce, e poi tentativi, tanto che giunsero a sparare contro la mia scorta. I mafiosi non si sono negati nulla.

 

Qual era il motivo per cui Cosa Nostra voleva ucciderla?

Fu una reazione a quello che fu battezzato il “decreto d’arresto”. In base a un’interpretazione errata del Codice di Procedura Penale, alcuni mafiosi stavano per uscire per decorrenza dei termini. In quanto ministro della Giustizia, corressi quello che rischiava di trasformarsi in un clamoroso errore, fornendo l’interpretazione autentica. La conseguenza fu che la mafia decise di eliminarmi.

 

(Pietro Vernizzi)