Se Matteo Renzi è uscito rafforzato dall’assemblea congressuale milanese del Pd che lo ha incoronato segretario, lo stesso non si può certo dire del governo guidato da Enrico Letta. Il sindaco ha giocato all’attacco, uno schema che gli risulta particolarmente congeniale, e ha portato la guerra nel campo di Beppe Grillo, ottenendone una risposta rancorosa e di totale chiusura. Il comico genovese e i suoi si sono di fatto sfilati dal processo delle riforme, perché questo è il significato dell’affermazione che dovrà essere il prossimo parlamento a occuparsene. Sfidato a votare a favore di abolizione del Senato, nuova legge elettorale e taglio ai costi della politica, province in testa, in cambio della rinuncia immediata da parte del Pd del finanziamento pubblico dei partiti, il comico genovese si è chiamato fuori, accusando Renzi di essere tutto chiacchiere e marketing, con un evidente richiamo all’Al Capone de Gli intoccabili.



Ma il sindaco-segretario ha ottenuto anche un altro risultato rilevante, quello di convincere Gianni Cuperlo, il suo principale sfidante, ad accettare la presidenza del partito, con buona pace dei risentimenti dalemiani, peraltro sempre ufficialmente smentiti. 

Con un Pd più unito e con Grillo che ancora una volta rifiuta ogni collaborazione con le altre formazioni politiche, Renzi non può che trovare il suo interlocutore privilegiato nel presidente del Consiglio. Il patto dei 15 mesi con Letta al momento c’è. Nessuno però è in grado di dire se riuscirà a reggere per tutto il tempo in cui ufficialmente dovrebbe durare. Sulla testa dell’esecutivo, infatti, continua a pendere la spada di Damocle della postilla con cui Renzi accompagna tutte le sue esternazioni sul governo: dura finché fa le cose. 



La lista delle richieste del neo leader del Pd al “suo” governo si allunga sempre di più, e si apre con un patto di governo “alla tedesca”, cioè negoziato punto su punto, e che abbia come cardine il lavoro. Non è affatto detto che tutte le richieste renziane possano trovare facile accoglimento presso i partners di governo del Pd. Angelino Alfano, tanto per fare un esempio, ha subito giudicato il discorso di Renzi molto di sinistra, e non ha nascosto il suo sollievo per questo. E pure i centristi, tanto quelli di Monti, quanto quelli di Casini e Mario Mauro, non possono certo accettare un’egemonia democratica sulla maggioranza. 



Gli alleati nel governo delle larghe intese, insomma, faranno molte resistenze alle richieste che il nuovo leader democratico formula con toni quasi ultimativi. E questo certo non renderà affatto agevole la navigazione di Enrico Letta e della sua squadra di ministri. 

Il premier ne è perfettamente cosciente, ma per il momento non può che fare buon viso a cattivo gioco e dire che devono sparire i retroscena relativi ai rapporti fra loro due, ribadendo che le battaglie si vincono solamente con l’unità.

Il vero banco di prova sarà quindi subito dopo Natale. Si vedrà allora se Letta e Renzi sapranno fare gioco di squadra nello scrivere il patto per il 2014 che dovrà legare l’azione della maggioranza. A entrambi sembra essere ormai venuta a mancare la possibilità di trovare una sponda su singoli temi con il Movimento 5 Stelle, a sua volta alle prese con la concorrenza sfrenata di altre formazioni politiche su temi che i Grillini consideravano come loro esclusivo terreno di caccia. Sull’Euro-scetticismo, ad esempio, è ormai evidente la concorrenza tanto di Forza Italia, quanto della nuova Lega targata Matteo Salvini, incoronato segretario dal congresso straordinario di Torino al grido: “l’euro è un crimine contro l’umanità”. 

Persino sulla rinuncia al finanziamento pubblico dei partiti Grillo ha trovato inattesi concorrenti in Alfano e nel Nuovo Centro Destra che sfidano tutti, compreso Renzi, all’immediata rinuncia ai soldi pubblici. Per il neonato partito è facile, essendo escluso dalle sovvenzioni, ma il segnale sembra rendere chiaro che ormai tutti giocano a tutto campo, invadendo senza timori anche gli spazi altrui.

Il 2014 si apre quindi all’insegna della massima incertezza, con un quadro politico debole e fragile, che potrebbe crollare da un momento all’altro. Probabilmente sarà nella trattativa sulla legge elettorale che si capirà se l’attuale tregua sarà in grado di consolidarsi e reggere. A Renzi anche Napolitano ha chiesto di non terremotare la maggioranza nelle trattative, ma il sindaco non è parso del tutto convinto. Ha assicurato che si tenterà per prima un’intesa con i partners di governo. Ma lo spostamento della discussione dal Senato alla Camera non lascia presagire nulla di buono. A Montecitorio al Pd basta il sostegno di Sel per fare a meno degli alleati e approvare un testo da cui poi al Senato sarebbe difficile discostarsi. Alfano e Quagliariello sono già in trincea. Sanno che quella è la battaglia decisiva, sulla quale il vincoli di coalizione potrebbe finire in frantumi in un lampo.