In campagna elettorale, Renzi si era blandamente riposizionato a sinistra, per impedire ai suoi avversari di indicarlo come quinta colonna del berlusconismo. Vinte le primarie, tuttavia, ci ha messo pochi istanti a tornare sulle sue originali posizioni: ponendo il veto sulla web tax, ipotizzando un nuovo contratto a tempo indeterminato privo di Articolo 18 e rispondendo alla Cgil che lo invitava a studiare assieme nuove misure occupazionali: «io non concerto niente, piuttosto i concerti li organizzo a piazza del Duomo». Abbiamo chiesto ad Achille Ochetto, già segretario del Pds, cosa ne sarà del Pd.



Il Pd rischia di perdere definitivamente la sua connotazione di sinistra?

Non sono d’accordo con la vulgata secondo cui il problema di un Pd che sbandi a destra si ponga adesso che è stato eletto Renzi. La cosiddetta opposizione di sinistra al sindaco di Firenze, infatti, è costituita dai vecchi gruppi di potere che, di sicuro, non hanno mai avuto tratti di sinistra.



Si riferisce a D’Alema, Veltroni, Rosy Bindi e via dicendo?

Lasciamo pure ai lettori facoltà di immaginare con la più ampia scelta possibile…

Perché il vecchio establishment non si può considerare di sinistra?

Perché è stato responsabile dei molteplici inciuci con Berlusconi, di una scelta neoliberista in campo economico e sociale e di aver accettato supinamente il diktat della presidenza delle Repubblica rispetto alla politica delle grandi intese, ipotesi ben distante dagli ideali di sinistra per i quali alcuni di noi hanno combattuto una vita.

In ogni caso, cos’è diventato, a questo punto, il Pd di Renzi?



E’ presto per dirlo. Mi spiego: di Renzi vanno sottolineati due aspetti. Il rinnovamento: ha posto il problema del ricambio della classe dirigente, ribadendo, finalmente, che il centrosinistra deve dettare l’agenda politica, non subirla. Il secondo è un interrogativo: rimessa in moto la situazione, che posizioni assumerà in campo economico e sociale? Il rischio di uno spostamento a destra, su posizioni ulteriormente liberiste, è forte. Per questo, nel corso delle primarie, lanciai un appello: se volete ancorare Renzi a sinistra, votate Civati.

E perché non Cuperlo?

Nonostante le sue posizioni personali spesso apprezzabili, è troppo legato a quei ceti di potere che milioni di cittadini, con le primarie, hanno fatto sapere di voler spazzare via. Sia Civati che Renzi, invece, sono portatori del rinnovamento, ma il primo è più a sinistra del secondo.

Ora nel Pd c’è il rischio di una scissione?

La scelta di Cuperlo di accettare la presidenza del Pd dovrebbe scongiurare l’ipotesi. Di sicuro, da parte dei fedelissimi di quei gruppi di potere che sono stati artefici del capovolgimento del primo governo Prodi, delle coltellate alla sua candidatura alla presidenza della Repubblica (i 101), e degli inciuci con Berlusconi, non proverrà alcun tentativo di unirsi a Sel. Se, tuttavia, Renzi dovesse assumere una direzione sfacciatamente neoliberista, l’asse del Pd sarebbe spostato al centro e si porrebbe un serio problema circa la sua stessa natura costitutiva. A quel punto, sarebbe auspicabile la fondazione di un nuovo partito di sinistra.

 

Da parte di chi?

La sinistra è movimento e rinnovamento. Gli unici titolati, quindi, per compiere un’impresa del genere sarebbero Civati e la Puppato. A cui spero si congiungano parte dei sostenitori di Cuperlo, nonché Cuperlo stesso, se avrà la forza di spezzare i legami con i vecchi centri di potere.

 

Renzi è come Berlusconi?

Ma no, per carità. Le differenze sono visibili a occhio nudo. Anche ammettendo che Renzi sia un’interpretazione italiana della parte più moderata del blairismo, non potremmo di certo mai dire che Berlusconi e Tony Blair abbiano alcunché da spartire. In tal senso, consiglio a chi, nel Pd, fa questa associazione di ricordarsi del grave errore che i comunisti, sul piano internazionale, hanno alle spalle.

Quale?

Quello del “social-fascismo”. Siccome erano giustamete critici verso alcune posizioni moderate della socialdemocrazia, a un certo punto la associarono al fascismo. Non capirono più nulla né del fascismo, né della socialdemocrazia. Questo genere di ragionamento pare tornare come un’ossessione.

 

Tornando a Renzi: che partita si sta giocando con Napolitano?

Credo che il vero rischio, per Renzi, sia quello di restare impantanato nella logica delle grandi intese. Se l’ostacolo alla politica di movimento di Renzi sarà rappresentato dallo sbarramento di Napolitano, è chiaro che lo scontro diventerà inevitabile. 

 

(Paolo Nessi