Ogni movimento non nasce mai per caso, né può essere ridotto alle capacità aggregative di un leader ed alle parole d’ordine che questi diffonde. Il Movimento 5 Stelle non fa eccezione: si tratta dell’espressione di una protesta completamente iscritta dentro la cornice di una nazione in forte crisi. Da quest’ultima trae linfa e ragioni, ma anche metodi e logiche. Sostenuto dal livore, disperatamente sincero, di chi vede dissolversi nel presente ogni ragionevole speranza di promozione personale, il Movimento di Beppe Grillo risulta tuttavia essere l’ultimo erede di una cultura della delegittimazione e della squalifica generale delle istituzioni.
Le ragioni che ne spiegano l’affermazione non mancano: il malessere in Italia è tanto più profondo quanto più le vie d’uscita sembrano essere ancora lontane e, soprattutto, indefinite. Una crisi economica si somma ad una crisi politica e quest’ultima coincide con una crisi di rappresentanza, dove il declino di qualsiasi capacità dei partiti nel rappresentare gruppi e ceti, si esprime attraverso la più radicale delle contestazioni: la rinuncia al diritto di voto.
Per tale strada il movimento di Grillo è anche l’effetto perverso della mancata saldatura della cultura delle larghe intese. Il desiderio di un’iniziativa comune esplicitamente condivisa, tale da essere, per autorevolezza, impegno e rigore, all’altezza dei mali, profondi, da affrontare e debellare sembra essere costantemente minoritario rispetto al prevalere di uno spirito di contrapposizione, per il quale la crisi è ridotta ai costi della politica ed al dilagare della corruzione, mentre la soluzione è nella sostituzione generazionale e nella rivoluzione popolare. Più l’orizzonte di una strategia comune chiaramente condivisa tanto nei tempi, quanto nei metodi e nei contenuti, si allontana, più la protesta immediata e risolutiva resta padrona dello spazio della comunicazione, rivendicando immediatamente la funzione di rappresentante generale ed esclusiva del popolo.
Di questa vertiginosa riduzione del problema economico e politico ad un semplice ricambio di uomini e logiche Beppe Grillo è certamente l’esponente più esplicito e conseguente. Le accuse che formula (quelle fondate, quelle poco fondate e quelle completamente infondate) sono da questi sovrapposte l’una sull’altra, fino a provocare una valanga inarrestabile alla luce della quale ogni sua proposta politica appare non solo logica, ma anche perfettamente conseguente: dalla richiesta di un immediato referendum sulla permanenza dell’euro a quella di impeachment per il presidente della Repubblica.
Il Movimento 5 Stelle capitalizza così, a proprio profitto, una cultura della delegittimazione che per decenni è stata al centro delle analisi della sinistra estrema nelle sue diverse edizioni (extra-parlamentare, rivoluzionaria, antagonista) alimentata senza sosta da una logica di sospetti, subito trasformati in prove, e da una logica binaria, dove riemerge la vecchia dicotomia tra un Palazzo corrotto e corruttore, ed un Paese buono, lavoratore e soprattutto onesto: piuttosto che il nuovo che avanza è il vecchio che ritorna.
Questo ritorno alla logica semplificante della dicotomia tra Palazzo e Paese vive di energia propria e, anche se uscirà ridimensionata da elezioni europee che premieranno verosimilmente il non voto, continuerà ad occupare una postazione permanente nel panorama politico dei prossimi anni. Al suo opposto si rende sempre più necessaria e indilazionabile la produzione e la diffusione di una cultura della ricostruzione. Non si tratta solo di rilanciare il tessuto economico e produttivo, ma anche di accompagnarlo con una qualificata sensibilità sociale ed un altrettanto forte recupero culturale. Se la protesta grillina raggiunge vette di squalifica e di delegittimazione di persone e di istituzioni, non si può non replicare avviandosi nella direzione contraria: quella del rinnovato riconoscimento tanto delle prime quanto delle seconde, operando per la ricomposizione di un paese logorato da decenni di conflitti.