Entro le Europee, Renzi dovrà portare a casa almeno un importante risultato. Se non ci riuscisse, gli elettori si convincerebbero velocemente del fatto che il sindaco di Firenze è stato solo bluff. Ora, dato che, realisticamente, non è in suo potere intervenire in tempi rapidi e in maniera incisiva sull’occupazione, sull’economia e sulla situazione sociale del Paese, non gli resta che la legge elettorale. Intestarsi il merito dalle riforma sarebbe già molto. Di qualunque riforma. Il Renzellum (se nessuno, al primo turno, ottiene almeno il 40% dei voti, si va al secondo; introduzione delle preferenze; rivisitazione dei collegi) difficilmente andrà bene al centrodestra che, a più riprese, ha fatto sapere di poter accettare il doppio turno solo quando sarà superato il bicameralismo perfetto. Resta, quindi, il Mattarellum modificato, ipotesi sulla quale il sindaco di è detto disponibile a ragionare: il 75 per cento dei seggi viene assegnato sulla base di collegi uninominali, il restante 25, assegnato su base proporzionale secondo lo schema originario, sarebbe trasformato in premio di maggioranza. Abbiamo chiesto ad Alessandro Chiaramonte, politologo, che scenari si prefigurano.
A chi conviene il Mattarellum modificato?
In via generale, un sistema maggioritario con un premio di maggioranza conviene, evidentemente, al partito o alla coalizione che, in prossimità delle elezioni, è convinto di vincerle. Tuttavia, al di là dei rapporti di forza tra le componenti politiche, dobbiamo considerare che l’eventuale Mattarellum corretto conterebbe una serie di elementi che potrebbero determinare delle sorprese.
Quali?
Normalmente, nei collegi uninominali, la qualità del candidato e la sua presenza sul territorio contano parecchio, spesso a scapito della leadership nazionale. Tuttavia, tale circostanza, in gran parte viene assorbito dal fatto che gli italiani sono ormai piuttosto abituati a votare in virtù del loro orientamento ideologico e di chi sarà il candidato premier. Un fattore effettivamente determinante sarà, invece, rappresentato dalla distribuzione dei voti.
Cosa intende?
Quella del centrodestra, essendo omogenea su tutto il territorio, è migliore di quella del centrosinistra che, al contrario, è concentrata al centro. Naturalmente, con i collegi uninominali, avere molti voti in più degli altri in una determinata zona rappresenta uno “spreco”, dato che ne basta uno solo di differenza per ottenere il seggio. E’ stato dimostrato che il centrodestra, nel 2013, avrebbe preso più seggi del centrosinistra, se ai suoi voti fosse stato applicato il Mattarellum.
Quindi, il centrodestra, con il Mattarellum modificato avrebbe buone chance di vincere le elezioni?
A dire il vero, resta da capire come si comporterebbero i suoi elettori: in passato, con i collegi uninominali, ha avuto parecchie difficoltà. Il candidato unitario, infatti, spesso non era votato da tutto il potenziale bacino di centrodestra. Questo perché, magari, l’esponente della Lega non veniva votato dagli elettori di An, o viceversa.
Di recente c’è pure stata la scissione tra Forza Italia e il Nuovo centrodestra. La dinamica che lei descrive potrebbe quindi accentuarsi?
Ciò che non è chiaro è se la frattura potrà ricomporsi. Se i due partiti decidessero di correre assieme, credo che le difficoltà, rispetto al passato, sarebbero minori. Dopo 20 anni, la convivenza tra le anime del centrodestra è ormai stata sperimentata. Basti pensare alla Lombardia, dove Maroni è stato votato dall’elettorato di centrodestra senza particolari tribolazioni.
Non crede che questo dipenda dal fatto che il bipolarismo si sia ormai consolidato nella cultura italiana?
Gli italiani, indubbiamente, hanno imparato ad accettare di dover votare per una coalizione o per l’altra, nonostante l’eterogeneità interna ad entrambe. Non dimentichiamo, però, che nel 2013 è emerso un terzo polo.
Con tre poli, il Mattarellum corretto riuscirà a garantire una maggioranza di governo?
Dipende da come funzionerà il premio di maggioranza. Se la quota assegnata in precedenza con il sistema proporzionale sarà conferita alla coalizione che ha ottenuto più seggi, allora si determinerà una forza vincente. Resta da capire se tale meccanismo sarebbe applicato anche al Senato.
Cosa farà il centro?
Qualsiasi sistema maggioritario incentiva le alleanza in grandi coalizioni. Difficilmente possiamo immaginare che il polo centrista continui a esistere autonomamente, oltretutto senza più la leadership di Mario Monti. Verosimilmente, le componenti che fanno capo a Mauro e a Casini tenderanno a rivolgersi verso il centrodestra deberlusconizzato; qualcuno, poi, potrebbe passare al Pd renziano.
C’è sempre in ballo il Renzellum.
L’impostazione conserva margini di ambiguità. Mi chiedo, in particolare, cosa dovrebbero votare gli elettori al secondo turno. La scheda, o il nome del candidato? Ora, sappiamo benissimo che finché non si modificherà la Costituzione l’elezione diretta del premier non sarà possibile. Tuttavia, è immaginabile che Renzi stia pensando ad un meccanismo che, in un modo o nell’altro, consenta di indicare il leader (del resto, già adesso il nome del candidato premier viene indicato sulle liste elettorali come il leader della coalizione, anche se questo non ha alcun valor legale, ma rappresenta una semplice prassi).
Perché Renzi dovrebbe volere un sistema simile?
Perché sa che la sua capacità di attrazione sull’elettorato non tradizionalmente schierato a sinistra è calata. Tuttavia, un elettore di centrodestra o un grillino difficilmente sarebbe disposto, per poter votare lui, a votare il Pd.
(Paolo Nessi)