Dalla paura dell’accerchiamento alla politica dei due forni. Nutriva pochi dubbi Silvio Berlusconi sulla difficoltà della fase che si sarebbe aperta rompendo con il governo Letta e passando all’opposizione. Forse però non immaginava che sarebbe stato tanto difficile. Il rischio concreto che si è reso conto di correre, lui e tutta Forza Italia, è quello di finire marginalizzato. E per evitarlo il Cavaliere è disposto a tutto.
La sua consapevolezza emerge chiara quando ammette che un accordo fra Partito democratico e Movimento 5 Stelle sarebbe la rovina del suo partito, e pure “dell’Italia”. È quella stessa manovra a tenaglia che Pierluigi Bersani tentò all’indomani delle elezioni di febbraio e che non si chiuse per l’ostinazione dei grillini a non volersi sporcare le mani, accettando di sostenere un governo guidato dall’allora leader del Pd.
Il timore si è ripresentato all’indomani dell’affermazione di Matteo Renzi alle primarie, un fenomeno che il Cavaliere sta seguendo attentamente, confrontandosi spesso con i suoi fedelissimi su quale possa essere la maniera migliore per arginare la popolarità del sindaco di Firenze. Una riflessione lunga e ben lungi dall’essere conclusa, che ha segnato anche molti ripensamenti e ipotesi scartate.
Pochi i punti fermi, ma una stella polare su tutto: per evitare di finire all’angolo Berlusconi e il suo partito non debbono lasciare nulla di intentato, debbono cioè occupare ogni spazio utile, una specie di riedizione della politica dei due forni che nella prima Repubblica si attribuiva alla Dc degli anni Sessanta, che poteva trovare alla bisogna sponde tanto nei socialisti, quanto nelle destre missine.
La politica dei due forni in versione XXI secolo consentirebbe in questa fase a Berlsuconi di sfruttare tutti gli spazi offerti da Renzi nella costruzione delle riforme e della legge elettorale, condividendo nello stesso tempo ogni battaglia di opposizione possibile con i parlamentari grillini.
Nella prima direzione le opportunità vengono dalla necessità per il neo segretario democratico di non limitare allo stretto alveo della maggioranza la discussione sulle regole fondamentali della politica. Renzi lo ha detto chiaro: non ha intenzione di tenere fuori Forza Italia e Grillo, anche perché così sarà più facile tenere a bada Alfano. Un effetto collaterale questo che a Berlusconi proprio non dispiace. E per ottenere questo spazio i berluscones sono disposti a protestare in maniera clamorosa, anche con il Quirinale, convinti di avere buone frecce al proprio arco.
Ma Renzi, oltre che irretito sulla trattativa per le riforme e la legge elettorale, per Forza Italia deve essere combattuto colpo su colpo anche sulle proposte di ogni giorno, alternando accuse di sbandamenti a sinistra, come nel caso dell’intenzione di riformare la Bossi-Fini, oppure di invasioni nel proprio campo.
È quanto sta avvenendo in tema di legge sul lavoro, con l’insinuazione di aver sposato in toto il programma del centrodestra. Un’accusa che il sindaco-segretario non può tollerare, e i berluscones lo sanno benissimo, rigirando con soddisfazione il coltello nella piaga.
Per quanto riguarda i rapporti con il Movimento 5 Stelle, essi non possono che essere strumentali su alcune battaglie che accomunano i due partiti e che non possono essere appannaggio esclusivo degli uomini di Grillo, come si è visto nel caso della riforma delle province. Del resto, il Cavaliere è convinto che quello grillino sia in buona parte un elettorato che sia possibile convincere a tornare a votare per il centrodestra.
Ma per farlo ha bisogno di rivoluzionare il suo partito. Le mosse sono allo studio, volti nuovi e giovani, per tenere il passo della segreteria renziana di quarantenni che ha molto colpito Berlusconi. Smentito un radicale repulisti, che lo stesso Cavaliere ha definito una voce delle più false, in questa partita si gioca comunque gran parte delle residue chanches di rilancio di Forza Italia. L’operazione facce nuove sta avvenendo con ritmi e logiche da campagna elettorale, perché la speranza di un voto politico abbinato con le europee di maggio non è ancora definitivamente riposta in soffitta. Ma se non sarà credibile, sarà un ulteriore passo verso il declino di un partito il cui leader è azzoppato dalle sentenze e dalle pendenze giudiziarie.