Da anni tutti si dicono d’accordo nell’abolire le Province, senza che nessuno abbia mai mosso un dito in tal senso e, ora che l’ipotesi diventa concreta, si levano scudi in loro difesa. La Camera, con 277 voti favorevoli, ha approvato il ddl che trasforma i consigli provinciali in assemblee di sindaci; Sel ha votato contro, mentre Forza Italia, Lega Nord e il Movimento 5 Stelle si sono astenuti. Renato Brunetta, capogruppo forzista a Montecitorio, sintetizzando il sentimento delle opposizioni, ha definito il provvedimento una legge truffa: «Questa nuova legge non abolisce le Province, ma crea enti di secondo livello: di fatto trasforma le Province in enti di area vasta, li sottrae alla rappresentanza democratica, escludendo ogni tipo di elezione diretta». In molti, poi, sono convinti che l’operazione, paradossalmente, comporterà più costi che benefici. Abbiamo chiesto a Carlo Buratti, professore di Scienza delle finanze all’Università di Padova, come stanno effettivamente le cose.



È positivo il fatto che le Province stiano per essere eliminate?

Che un governo di livello provinciale sia necessario ne sono convinti anche quanti hanno votato il disegno di legge. Non è un caso, infatti, che le Province non saranno semplicemente abolite; il loro posto sarà preso da questi “enti di area vasta”.  Che, tuttavia, così come sono stati immaginati non vanno affatto bene.



Perché no?

È necessario che un organo di questo genere abbia al suo interno delle persone elette direttamente, in modo da poter rappresentare il territorio che gestiscono.

I sindaci che comporranno le assemblee sono stati eletti.

Sì, ma per guidare il proprio Comune, non la Provincia. Di conseguenza, gli enti di area vasta diventerebbero organi di secondo livello che prescindono da un principio di rappresentatività popolare. I sindaci, poi, hanno un dovere anzitutto nei confronti delle amministrazioni che guidano e in cui sono stati eletti; inevitabilmente, quindi, rifletteranno gli interessi specifici della propria comunità.



Resta il fatto che le Province, in tutti questi anni, sono state fonte di enormi sprechi.

Non direi. A parte i casi eclatanti, come la svendita della Serravalle, o la creazione di nuove Province prive di un capoluogo (ad esempio, Barletta-Andria-Trani), non hanno operato così male.

Perché, allora, da tempo se ne chiede l’abolizione?

Si tratta di un tema che, almeno da quando la Bce lo ha indicato come prioritario, nella famosa lettera dell’estate 2011, è entrato a far parte del politicamente corretto.

 

Non crede che, in ogni caso, si determinerà un congruo risparmio per le casse dello Stato?

No, perché i costi legati alle funzioni che le Province svolgono non sono eliminabili, perché non sono eliminabili quelle funzioni. Il personale, poi, non essendo licenziabile, sarà trasferito ad altre amministrazioni. In certi casi, potrebbe costare di più; se passerà alle Regioni, per esempio. Le uniche spese del tutto eliminabili sono quelle legate agli stipendi dei consiglieri, degli assessori e dei presidenti. Tuttavia, è stato ampliamente certificato – anche dalla Corte dei conti – che non raggiungono i 200 milioni di euro. A fronte di una spesa pubblica di 800 miliardi, si tratta evidentemente di cifre irrisorie.  

Quali sono le funzioni non eliminabili?

È bene che attività come la gestione della strade o delle scuole restino alle province. Per ogni servizio deve esserci un gestore che operi su una scala ottimale. È inevitabile, quindi, avere più livelli di governo, dal momento che le economie di scala non sono le stesse per tutti i servizi. Gli scolari di una scuola, per esempio, provengono spesso da più località. Trasferire le competenze di gestione scolastica dalle Province ai comuni potrebbe risultare parecchio complicato. Oltretutto, le unioni di Comuni al massimo potranno essere composte da una ventina di amministrazioni, quando in realtà, sotto la stessa Provincia, ne ricadono spesso centinaia.  

 

Lei cosa suggerisce?

Sarebbe stato meglio sopprimere le Provincie nuove e quelle minori che, non avendo un centro di riferimento e gli uffici dislocati in località diverse, non hanno senso di esistere. Le Province storiche, invece, le avrei mantenute.  

 

(Paolo Nessi)