Matteo Renzi ha due ultimi ostacoli da superare nella cavalcata verso Palazzo Chigi: il Tempo e il Negoziato.
La prospettiva di votare nel 2015 non è a suo favore. Se la situazione dell’Italia dovesse migliorare il merito sarebbe di Letta, se dovesse rimanere negativa sarebbe ritenuto corresponsabile.
E’ quindi naturale che egli punti allo scioglimento anticipato delle Camere accusando il governo di immobilismo o rendendo pubblico il giudizio negativo sui suoi provvedimenti come ha fatto in questi giorni a proposito della Legge di Stabilità.
Il traguardo delle elezioni anticipate sembrava a portata di mano sulla base di un accordo generale – da Berlusconi a Grillo – sul voto senza modificare la legge elettorale. Ma la recente sentenza della Corte Costituzionale, bocciando il “Porcellum”, ha lasciato aperta come unica strada elettorale quella peggiore per Renzi e cioè il ripristino del proporzionale.
Renzi deve quindi non solo agire rapidamente, ma anche trovare un accordo e ha bisogno di alleati affidabili data l’incertezza dei suoi gruppi parlamentari e l’eventualità di voto segreto per l’approvazione definitiva della legge alla Camera. E’ qui che entra in campo il Negoziato che è un’incognita per Renzi. Finora il Sindaco di Firenze è cresciuto fino a conquistare la guida del Pd come un ciclone che ha “rottamato”, uno dopo l’altro, gli avversari. Ora è però venuto il “battesimo del fuoco” del Negoziato dove per il Sindaco-Segretario il problema non è battere gli avversari, ma convincerne almeno uno ad essere suo alleato nonostante egli sia il più temibile concorrente elettorale.
A suo vantaggio c’è il fatto che può giocare su tre tavoli: la maggioranza, Berlusconi e Grillo. A suo svantaggio c’è il fatto che affronta il negoziato con interlocutori che sanno che non ha un “piano B”, che il tempo è suo sfavore e che deve comunque concludere un accordo per elezioni immediate senza proporzionale.
Risultato: 1. nella maggioranza già hanno fatto sapere che si debbono attendere le motivazioni della sentenza della Corte; 2. i recenti scontri a Montecitorio dei 5 Stelle con il Pd (e personalmente con la Presidente della Camera) rendono poco praticabile un accordo a due; 3. da parte sua Silvio Berlusconi era disposto a tutto pur di votare, ma prima del voto sulla sua decadenza. Oggi, nel momento in cui spera nel ricorso di Strasburgo, il Cavaliere sa che una sconfitta elettorale a breve scadenza certamente non lo rafforza.
Incombe inoltre lo scenario europeo. Enrico Letta si muove dimostrando una certa agibilità e credibilità. Non enormi, ma concrete. Matteo Renzi ha finora esibito un colloquio con Angela Merkel.
La presidenza italiana del primo semestre della nuova legislatura del Parlamento europeo non è, come troppo spesso si afferma, un “fatto burocratico”. Sul piano formale entra in vigore il trattato di Lisbona e la presidenza di turno istruisce la nascita dei vertici dell’Unione. Sul piano sostanziale vi sarà lo choc dell’affermazione delle liste euroscettiche, il tradizionale bipolarismo Pse-Ppe vacillerà e la “nazionalizzazione” della crisi europea operata dalla diarchia franco-tedesca sarà oggetto di revisione. L’Unione tutta Diarchia e Troika è destinata ad essere messa sotto accusa anche perché il benessere tedesco che vanta la Merkel è dovuto a come con lire, pesetas, franchi e dracme sono stati finanziati la riunificazione della Germania e, poi, l’allargamento dell’Unione finalizzato soprattutto all’export tedesco.
Il ruolo dell’inquilino di Palazzo Chigi può essere in quella situazione molto rilevante. Poco probabile che Matteo Renzi vi rinunci volontariamente per stare a guardare.