Deve esser suonata assai più che stonata la parola rimpasto a Matteo Renzi. Una parola tanto vecchia, tanto da prima Repubblica da dovere essere smentita precipitosamente. È stato un passo falso di qualcuno dei suoi fedelissimi evocare un aggiustamento della squadra di governo, al punto da dovere essere archiviato precipitosamente ricorrendo al mantra più classicamente renziano: il governo dura soltanto se fa, se cambia passo.



Non una questione di persone, quindi, ma di atti e di contenuti. La differenza starà lì, fra il ridare slancio al governo e lo staccare la spina, con buona pace di chi, nel Pd e non solo, al rimpasto ha pensato o sta pensando per davvero, vuoi per fare entrare Epifani e ringraziarlo del disturbo di aver retto la baracca democratica, vuoi per riequilibrare le rappresentanze come fa il più giovane dei partiti italiani, Scelta civica, che ragiona da partito della primissima Repubblica, di fatto negando alcun rapporto con ministri di peso come Moavero e Cancellieri, come perfidamente fa notare Ferdinando Adornato.



È Renzi però la chiave di volta di questa incerta fase politica. Ha stravinto le primarie democratiche e adesso si trova davanti a un bivio. La differenza fra lui e tutti gli altri contendenti sulla scena politica è che lui ha due carte in mano, gli altri una soltanto. Letta ed Alfano, ad esempio, possono giocare soltanto la carta della governabilità, un anno di azione dell’esecutivo per consolidare la propria posizione e sperare il primo in un logoramento di Renzi, il secondo in un logoramento di Berlusconi, per prenderne in entrambi i casi il posto alla guida rispettivamente del centrosinistra e del centro destra. In fondo anche i centristi di Casini e Mauro, così come quel che resta di Scelta civica, non hanno alcun interesse a precipitare le cose verso il voto a primavera, perché rischierebbero di essere spazzati via.



All’opposto, Berlusconi, Grillo e la Lega hanno in mano solamente la carta delle elezioni anticipate, perché in maniera diversa verrebbero consumati da un anno abbondante trascorso all’opposizione, lontano dalla stanza dei bottoni. E questo vale in particolar modo per il Cavaliere, che infatti non perde occasione per richiamare i suoi a tenersi pronti a scatenarsi in campagna elettorale in tempi ravvicinati. La sua è una posizione azzoppata dalle sentenze giudiziarie, dalla decadenza da parlamentare e dall’età non proprio verdissima. E questa menomazione non può che peggiorare.

Renzi, invece, deve scegliere. Se sosterrà il governo si accrediterà come leader responsabile, ma correrà il rischio di vedere affievolirsi il vento che oggi ne gonfia le vele di nuova guida del centrosinistra. 

Se – al contrario – deciderà di tentare la via delle urne, dovrà fare i conti con  il marchio d’infamia di aver affondato un governo dove proprio il suo partito è l’azionista di maggioranza. Dovrà giustificare insomma una scelta che sarebbe facile bollare come irresponsabile.

La tentazione di rovesciare il tavolo è forte e traspira dalle parole del sindaco-segretario, quando accusa il governo di essere passato dalle larghe intese alle marchette e soprattutto quando sostiene di non aver nulla in comune con Letta e Alfano, negando una solidarietà generazionale invocata dal premier nella conferenza stampa di fine anno. Loro sono figli della vecchia politica, dei D’Alema e dei Berlusconi, e lui è legittimato dalle primarie. 

Lavoro e riforme istituzionali saranno dunque i banchi di prova del governo, atteso entro due-tre settimane dalla stesura del patto programmatico per tutto il 2014. E lì ciascuno dovrà assumersi le proprie responsabilità. Lo dovrà fare Letta: finito impantanato nelle sabbie mobili dei suoi stessi decreti legge, ha rimediato una figuraccia sul salva-Roma, che è stato costretto da Napolitano a ritirare. Ma allo stesso modo dovrà assumersi le sue responsabilità Renzi, che non potrà alzare l’asticella all’infinito. Basta pensare a temi delicati e che poco hanno a che fare con le emergenze in materia di economia e di riforme, come le unioni gay, o la cancellazione della legge Bossi-Fini sull’immigrazione. Su questi Alfano potrebbe fare concessioni, ma non arrendersi del tutto. 

Se Renzi vuole rompere, la provocazione arriverà probabilmente su questi terreni. Se, al contrario, vorrà dare una reale chance al governo, allora si arriverà a qualcosa di simile a una moratoria sui temi eticamente sensibili, quelli su cui è più facile che un governo di larghe (o medie) intese vada in pezzi.