Lo scenario politico di Berlusconi al 30 dicembre 2013 è questo: andare a votare subito, in coincidenza con le elezioni europee del 25 maggio, conquistare con Forza Italia la maggioranza assoluta, che i suoi sondaggi già pre-annunciano. Il programma? Cambiare l’architettura istituzionale in senso presidenziale – modello americano –, così da rendere finalmente governabile questo Paese, spezzare l’oppressione fiscale, giudiziaria, burocratica che angaria i cittadini, sconfiggere la sinistra, che all’oppressione fornisce la rappresentanza politica e la sponda di potere. Il programma è quello liberale del 1993. 



Ci si aspetterebbe che, a conclusione del suo annus horribilis, Berlusconi fornisse qualche spiegazione sulla parabola ventennale che ha portato al fallimento del programma di una moderna democrazia liberale e alla sua personale estromissione dai luoghi decisivi delle istituzioni politiche. In assenza, la credibilità degli enunciati è piuttosto incerta. Né può più fondarla su quella torsione antipartitocratica che nel 1993 aveva solide ragioni e che gli conferiva una sorta di verginità. Anche Forza Italia ha compiuto ormai vent’anni, tra una sigla e l’altra, e deve rendere conto del suo itinerario non brillante. 



Per Berlusconi le cause sono due: “gli italiani non hanno imparato a votare”; e la magistratura, che ha finora bloccato il tentativo di Berlusconi di opporsi “alla conquista definitiva del potere da parte della sinistra”.

Se questo è l’intrico delle cause, l’unico rimedio è la spada di Gordio della conquista della maggioranza assoluta. Ma qui cominciano i guai. Per conquistare la maggioranza assoluta, occorre passare dal voto dei cittadini. Ora, sostiene Berlusconi, “gli italiani disperdono sempre il voto in tanti rivoli” e perciò devono “imparare a votare”. Tuttavia, la storia politica insegna che nel nostro sistema politico non sono mai stati i cittadini a decidere il sistema elettorale, ma il Parlamento. E quando il referendum del 1991 obbligò il sistema dei partiti a progettare un altro sistema elettorale, di nuovo fu il Parlamento a proporre il Mattarellum. E quando fu chiaro che un sistema elettorale maggioritario, sia pure peggiorato con il 25% di proporzionale, entrava in contraddizione con la repubblica parlamentare e si provò con la Commissione bicamerale a risolvere la contraddizione, fu Berlusconi a farla saltare. Insomma: è il sistema dei partiti che fa l’offerta del sistema elettorale, gli elettori si adeguano. Sembra ingeneroso accusare “il popolo bue” di non saper votare. La maggioranza assoluta? Gli elettori l’hanno generosamente fornita per ben due volte a Berlusconi, nella XIV e nella XVI legislatura. 



Ne consegue che tocca ai partiti fare un’offerta di sistema elettorale, non ai cittadini, cui il sistema referendario non offre grandi spazi ed è comunque sotto tutela partitica. E sono i partiti a dover rispondere alla delega ricevuta. 

La realtà è che Berlusconi ha gravemente sottovalutato, proprio nella legislatura-chiave, quella dal 2001 al 2006, che il sistema elettorale maggioritario, per produrre l’effetto di governabilità, doveva essere agganciato ad un sistema istituzionale presidenziale, all’americana o alla francese. Solo che Berlusconi ha atteso il 2005 per produrre un disegno di riforma costituzionale, che è stato bocciato da quel poco di elettorato che le regole del referendum confermativo prescrivono. 

L’insensibilità alla questioni costituzionali ed istituzionali e l’idea di una scorciatoia plebiscitaria hanno così portato all’idea illiberale del Porcellum, la cui essenza è la nomina dall’alto di tutti i parlamentari. Nelle sue esternazioni di oggi, Berlusconi ha anche aggiunto che si tratterebbe di fare un accordo con Renzi e Grillo per una nuova legge elettorale. Si tratta di una boutade. Non solo perché entra in contraddizione con il presupposto: datemi la maggioranza assoluta e poi vediamo. Ma anche perché Grillo non vuole affatto il presidenzialismo, gli andava benissimo il Porcellum e oggi preferisce il ritorno alla proporzionale pura. Quanto a Renzi, è certamente il più vicino a Berlusconi. Ma appunto Berlusconi deve decidere se pensa di fare da solo all’insegna del leopardiano “io solo combatterò, procomberò sol io” o se ritiene di dover costruire una nuova architettura istituzionale in accordo con settori crescenti di opinione pubblica, che rivendicano non il potere dell’uomo forte, ma più radicalmente il potere dell’elettore forte. Anche perché i sondaggi, a proposito di Forza Italia, propendono per la seconda ipotesi: quella del “procomberò”. 

Il paradosso rischia di essere esattamente questo: ora che una maggioranza di elettori, anche di sinistra, delusi dai partiti, si sta orientando per l’elezione diretta del presidente della Repubblica, il suo approccio plebiscitarista e iperpoliticista (datemi la maggioranza assoluta e solleverò l’Italia) rischia di farlo arrivare in minoranza all’appuntamento presidenzialista. A questo punto, solo una sinistra iperparlamentarista, alla D’Alema, può correre in suo aiuto. Giacché un dato è ormai chiaro: che sistema elettorale e sistema istituzionale devono essere reciprocamente coerenti. A sistema elettorale maggioritario può solo corrispondere un sistema istituzionale presidenzialista.