Il primo fatto che emerge con forza da questa campagna per le Primarie è che abbiamo tre “primi attori” molto visibili dal punto di vista mediatico, ma non vi è chiarezza di contenuti. Non vi è stata la contrapposizione di piattaforme e, come si è visto nel confronto televisivo, nessuna seria analisi delle ragioni della crisi da affrontare. 



L’attuale congresso del Pd ricorda per certi aspetti quello del “nuovo Pci” di Achille Occhetto del marzo 1989. Anche a quel Congresso si diceva che bisognava aprire alla “società civile” e alla “sinistra sommersa”. Lo slogan di Occhetto era “opinione pubblica comunista”, ed anche all’epoca si fece un Congresso basato sui cosiddetti “delegati non iscritti”. La “novità” delle Primarie del 2013 ripropone certa spettacolarizzazione di quel “nuovo Pci” del 1989. In certi toni e atteggiamenti Matteo Renzi sembra essere il continuatore di Veltroni che era il continuatore di Occhetto, quando si parlava di “nuovo contratto sociale”, “governo dei processi mondiali”, “nuova dimensione politica del mondo dell’interdipendenza” spaziando dal deserto del Sahel” alla foresta amazzonica.



All’epoca Giorgio Napolitano criticava questo approccio immaginifico sollecitando “un serio impegno riformista”, e contestando un’impostazione fatta di frasi “oscure, insufficienti e contraddittorie”. 

Quello che preoccupa delle Primarie del Pd e dei suoi tre candidati è infatti l’assoluta fragilità e vaghezza delle loro piattaforme. Non c’è stato un confronto di contenuti, ma solo di volti, con Civati che sostiene di essere più a sinistra di tutti e Cuperlo che si propone come segretario a “tempo pieno” mentre il Sindaco pensa ad un trampolino per Palazzo Chigi, da conquistare ponendosi alla sinistra di Bersani e D’Alema dopo essere stato alla loro destra nelle precedenti primarie.



Tutti si dicono genericamente “riformisti”. Il riformismo italiano, che ha una sua storia e una sua evoluzione, fin dai primi del Novecento è nato con Filippo Turati come giuslavorismo, ma Matteo Renzi, come Cuperlo e Civati, di precise politiche del lavoro non stanno dicendo nulla.

Dichiarano che bisogna “alzare la voce” con Bruxelles, che essi hanno più “grinta” di Letta. In realtà l’Italia è nei guai non per mancanza di “grinta”, ma per mancanza di riforme, che al contrario sono state attuate dagli altri paesi: da Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania. 

Matteo Renzi esce quindi oggi come il terzo grande leader della politica italiana, insieme a Berlusconi e a Grillo, ma tutti e tre sono sulla stessa linea di “alzare la voce” ed accomunati – non a caso – dal comune attacco a Napolitano. Perché questo loro attacco a Napolitano?

Perché non si vuole guardare in faccia la realtà. Napolitano è colui che richiama a un minimo di autocritica e a una ricerca di soluzioni. Renzi, Grillo e Berlusconi non intendono però elaborare una politica di riforme effettive, ma si dicono convinti che i soldi non mancano nelle nostre casse. Eludono il tema delle misure di risanamento, fanno promesse senza chiarire dove reperire le risorse necessarie. 

Renzi, Berlusconi e Grillo marciano divisi ma colpiscono uniti. Sono tre destabilizzatori che portano il Paese verso una navigazione a vista cercando consensi in scenari di grande ricreazione. 

È da temere che l’Italia finisca nella condizione negativa e aperta agli avventurismi di cui parlava lo storico Tony Judt quando dipingeva come, appunto, la condizione peggiore quella di essere “un Paese insicuro, sradicato dalla propria storia e dal resto del mondo e che vuole sentirsi raccontare una favola a lieto fine”. Sia pure con differenze di stile, Renzi, Berlusconi e Grillo si presentano come tre “principi azzurri” che promettono il lieto fine. L’Italia intanto è su un piano inclinato e rischia di trasformarsi nel fanalino di coda dell’ex Europa occidentale. 

In questa situazione − dove le “pensioni d’oro” sono quelle superiori ai 3.500 euro lordi − il pericolo per il Pd di Matteo Renzi torna ad essere Sivio Berlusconi in quanto, alla fine, presenta l’unica cosa concreta: cercare di far pagare meno tasse. Probabilmente non ne sarà capace, ma di certo appare come l’unico che ci proverà.