Mentre scrivo queste note si svolgono le primarie del Pd. Un fenomeno solo italiano. Voteranno per i tre candidati in corsa tutti coloro che vorranno, dopo aver versato una piccola somma. È la prima volta nella storia mondale dei partiti in cui un segretario di partito viene eletto da iscritti e non iscritti, financo da persone che non condividono le idee dei candidati. Ciò nonostante votano, certi di dare in questo modo un contributo alla visione che hanno della dislocazione delle forze politiche in campo a livello nazionale. 



È il voto non per qualcuno ma contro qualcun altro. Fenomeno che di solito accade nelle votazioni politiche, ma che non è mai avvenuto nella dinamica interna alla definizione delle cariche  di un partito. Altro primato italiano. 

Naturalmente questo fenomeno disvela qualcosa del rapporto tra istituzioni e macchina dei partiti. La scienza politica classica, ossia quella che inizia con Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca e raggiunge poi i suoi vertici con i lavori di Roberto Michels e di Moisei Ostrogorsky, poneva al centro della delineazione del sistema e della società politica le macchine dei partiti. Per comprendere il funzionamento sia della partecipazione politica sia dei meccanismi decisionali, secondo questa scuola bisognava e bisogna partire dai partiti. La politologia che invece si è affermata dopo gli anni Cinquanta del Novecento, con poche eccezioni, tra cui ricordo il compianto Paolo Farneti, Theodor Lowy e Mauro Calise, pone invece al centro i sistemi elettorali. Sono questi ultimi a determinare la meccanica dei sistemi istituzionali e della stessa partecipazione politica. 



Aristotelicamente, per la politologia moderna, i partiti sono accidente e non sostanza. Che invece i partiti siano sostanza e non accidente lo dimostra quanto sta capitando in Italia. Il Pd è diventato il punto archetipale della vita istituzionale. Anche qui un primato italiano alla faccia di qualsivoglia Costituzione. Il presidente della Repubblica convoca il primo ministro Letta per prender visione della situazione creatasi con la scissione e la scomparsa di Forza Italia e Popolo delle Libertà. Il presidente della Repubblica avrebbe dovuto chiamare subito il primo ministro seguendo le pratiche istituzionali. Ciò non è stato fatto. Si è atteso che si disvelasse l’esito delle primarie del Pd. Questo non ha suscitato nessuno scandalo e soprattutto non lo ha suscitato nell’establishment, piccolo (come lo chiama Ludovico Festa) o grande che dir si voglia (come non lo chiama più nessuno perché l’establishment grande non è più). 



Il problema è proprio questo: si svolgono le primarie di un partito i cui candidati a segretario hanno piattaforme sostanzialmente o indistinte o sovrapponentesi oppure che si differenziano per differenti opinioni su segmenti specifici dell’agenda politica, oppure ancora per l’evocazione mitologica di un passato che alcuni vorrebbero conservare (Cuperlo) altri vorrebbero rinnovare senza rinnegarlo (Civati) altri ancora lo rinnegano decisamente e a esso sostituiscono la vulgata neoliberista in salsa moderata (Renzi)

Il vincitore delle primarie sarà senza dubbio quest’ultimo. Il perché è chiaro. Eredita i morfemi, ossa la sintassi semantica, del ventennio berlusconiano: leader, invece che élite, decisionismo invece che tattica e compromesso, medializzazione e sondaggizzazione invece che pedagogia, competizione invece che comunione, etc. etc. E poi ha soprattutto l’appoggio dell’establishment, con forti agganci e sostegni nella finanza internazionale, nei ceti medio-colti, nell’alta burocrazia dello Stato la quale sa bene che can che abbaia non morde. La mia previsione è che difficilmente la vittoria che si profila non avrà ripercussioni nel partito. Infatti nel sistema politico italiano è iniziata un’era di disintegrazione, come già è stato reso evidente nelle vicende del Pdl. Credo che tale disgregazione continuerà pure nel Pd, anche se con forme meno eclatanti e sostanzialmente avversate dall’establishment a differenza di quanto è avvenuto nel Pdl. 

Perché l’establishment da tempo vuol farla finita con Berlusconi. Per questo non si può fare una nuova legge elettorale e deve pronunciarsi la Corte costituzionale, intervenendo persino sulle preferenze! Infatti, sono i partiti a dar vita alle leggi che li preformano e non viceversa. Se non vogliono farlo, non ci sarà nessuna legge elettorale, come hanno dimostrato questi anni di porcellum. Una bella conferma della scuola classica della scienza politica, non c’è che dire. È il colmo per un rottamatore!