La rottura con il mio partito è frutto della storia di questa legislatura che ha visto consumare l’illusione che l’alleanza Pdl-Lega fosse garante di riforme capaci di cambiare l’Italia.
Destra e sinistra si sono alternate negli anni della transizione senza anteporre il dovere di riformare la vita pubblica italiana alla rendita politica che deriva da una cultura del conflitto. La lista Monti è fatta da chi si è stancato di questa guerra di parole e vuole una pace duratura.
Non mi stancherò mai di ricordare l’esempio della scuola. Quattro volte in teoria è stata riformata la scuola in questi anni: Berlinguer, Moratti, Fioroni, Gelmini. Io tornerò a fare l’insegnante senza che in realtà nulla sia cambiato. Sono riforme dette, non fatte e a cui si aggiunge la beffa mediatica di migliaia di giovani in piazza a protestare contro qualcosa che non è mai stato attuato.
Ancor più grave è lo scenario macroeconomico del nostro Paese. Da anni in Europa si attua il cosiddetto rigore, cioè vigorosi tagli alla spesa pubblica per sostenere gli sforzi di famiglie e imprese. Negli anni della transizione italiana ciò si è tradotto in più tasse per più spesa pubblica, con il risultato di veder esplodere il nostro debito e renderlo insostenibile al punto da minacciare l’intera eurozona. Anche la caduta del governo Berlusconi avrebbe potuto essere però un’occasione positiva se avessimo avuto la forza di riconoscere i nostri errori. Ma passata la crisi finanziaria, per recuperare fiducia agli occhi degli italiani, si è scelta l’incredibile scorciatoia di addossare ogni responsabilità ad un presunto quanto assurdo complotto europeo condito di banchieri e massoni, ad uso di una opinione pubblica bramosa di scaricare su tedeschi e francesi l’incapacità di risolvere i nostri problemi.
Da quando avevo vent’anni ho toccato con mano come la convivenza pacifica all’interno del progetto europeo sia per la storia del nostro tempo la sola piattaforma in grado di aiutarci a risolvere le tante difficoltà in cui ci dibattiamo. Il coraggio dei padri fondatori, che ha ottenuto per noi attraverso la pace lo sviluppo, è la certezza da cui ripartire. Che tristezza, dopo aver contribuito a far cadere il comunismo, riunificato l’Europa dell’est, aver sostenuto lo sviluppo di Polonia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Estonia, Malta, Cipro… sentire dire che la causa delle mancate e storiche riforme che il nostro Paese attende da decenni è frutto di un complotto europeo in cui Monti interpreta il ruolo di “utile idiota” al soldo della “perfida” Merkel.
Monti non è l’uomo della Provvidenza, ma la scelta del Pdl di far cadere quel governo per riproporre, oltre che la candidatura di Berlusconi, la logica che mira a tenere in ostaggio ancora per una legislatura l’Italia in concorso con Bersani, non è condivisibile.
Non ho promesse da fare, anzi. Il rigore in Italia non è ancora stato applicato fino in fondo. La voragine finanziaria è frutto dell’irresponsabilità di classi dirigenti che hanno sopperito la mancanza di decisionismo e di coraggio con più tasse e più spesa.
Sono serviti quindi ulteriori sacrifici promossi dal governo tecnico per spegnere l’incendio della speculazione a nostro danno e ottenuta la possibilità di veder dimezzati i nostri interessi sul debito (da 80 a 40 miliardi l’anno in 14 mesi) vanno affrontate le emergenze del lavoro e della crescita. Per farlo occorrono riforme strutturali che destra e sinistra rifiutano di fare insieme.
Mettersi in discussione, ammettere i propri errori e favorire la nascita di una proposta politica che aiuti Pd e Pdl a continuare il percorso di tregua sostenendo riforme magari impopolari, ma necessarie per dare lavoro e pensioni anche ai giovani, mi sembra il contrario del trasformismo.
Per anni abbiamo rivendicato l’intelligenza di saper andare oltre gli schieramenti alla ricerca del bene comune. Non ho cambiato nessuna delle mie idee, sono e resto politicamente un popolare, ma non accetto di ridurmi a essere un populista per inseguire un consenso a metà tra i ragionamenti di Grillo e l’antieuropeismo di maniera della Lega.
Ma quando ho visto far cadere un governo senza altri motivi che non fossero le scorciatoie di una presa di distanza dalle scelte di responsabilità indispensabili per salvare il valore dei soldi di milioni d’italiani, ho giudicato necessario fare un passo avanti piuttosto che continuare a sognare un passo indietro di Berlusconi o dei comunisti.
E se qualcuno vuole nascondersi dietro un approccio al tema dei valori non negoziabili, forse dovrebbe misurarsi, oltre che con le piattaforme elettorali e spesso strumentali di questo o quel partito, anche con il profilo politico di una persona, che non si definisce in trenta giorni di campagna elettorale, ma che si può valutare solo attraverso il lavoro di una vita.
Vita, famiglia, educazione, lavoro, ricerca non sono temi da aggiungere all’economia. Sono il fondamento delle domande da cui partire se si vuol fare politica. Devono essere le basi di un sistema economico, educativo, di giustizia.
Come deve essere infatti un sistema educativo, pensionistico, di produzione industriale, sanitario, che voglia rispettare fino in fondo ciò che l’uomo è? Per questo si fa politica e non c’è spazio in questa visione per riduzioni ideologiche. Soprattutto nel partito di Monti, che nasce dalla volontà di far incontrare culture politiche differenti nel nome della dignità della persona umana.