Normalmente, quando si decide che è giunto il tempo di agitare lo spettro del fascismo brandendolo come un arma contro l’avversario, significa che ci si trova in difficoltà. Ai tempi lo fece Bersani. Diede a Grillo del “fasssista”. Ieri è toccato al premier. Che, ineditamente, ha mostrato apertamente di ritenere il capo dell’M5S un serio problema per la democrazia, non estinguibile semplicemente ignorandolo: «Grillo, per una volta, vada in una piazza greca anziché nelle piazze italiane e vedrà la disperazione, la protesta e anche piazze piene di neofascisti. Se lui vuole con le sue urla e il suo populismo dannoso trasformarci nella Grecia faccia pure», ha dichiarato. Sobriamente, e con una circonlocuzione delle sue, ha pur sempre detto, in sostanza, che il comico genovese è più pericoloso di Mussolini. Ben altri toni intercorrono tra il professore della Bocconi e il leader del Pd. Il primo ci ha tenuto a precisare che tra di loro non c’è mai stato alcun «litigio», solamente «osservazioni e punti di vista leciti, da una pare e dell’altra». Il secondo si è spinto a dichiarare: «Monti lo stimo, ma lui guarda sempre dall’altro ed è un po’ permaloso». Non si è mai visto due rivali politici scambiarsi carinerie di questo genere. Claudio Sardo, direttore dell’Unità, ci spiega quali scenari si stanno delineando.



Crede che il premier tema che Grillo potrebbe sfondare?

Diciamo che Monti aveva immaginato, decidendo di partecipare alla competizione elettorale, di avere un certo potenziale la parte del centrosinistra più vicina all’operato del governo e la parte del centrodestra che aveva compreso come la deriva populista del Pdl fosse inarrestabile, tanto più dopo che Berlusconi aveva deciso di interrompere il processo di democrazie interna e di rinsaldare l’asse con la Lega. Il premier si era, inoltre, convinto di poter recuperare, attraverso la filosofia dei tecnici al governo, quei cittadini affascinati dall’antipolitica contro i partiti, il cui orientamento di voto è stato sin qui intercettato da Grillo. Ma ha capito che la campagna elettorale è più dura del previsto. Ora sta cercando di aggredire tutti e tre i suddetti bacini elettorali. Con il Pd e con il Pdl ha sviluppato a suo tempo le polemiche e, ora, affronta apertamente Grillo.



L’M5S potrebbe diventare il quarto o il terzo partito?

Quel che è certo è che otterrà risultati decisamente superiori alle aspettative. Resta da capire non solo quanti voti prenderà effettivamente, ma anche come si comporterà il nuovo gruppo parlamentare. Sappiamo che Grillo ha puntato sulla costruzione di un gruppo costituito da personalità anonime, facilmente telecomandabili. Non sappiamo come si comporteranno rispetto ai provvedimenti del governo e della maggioranza. Potrebbero mirare ad emendarli o all’ostruzionismo nudo e duro, potrebbero approvare le norme che andranno loro a genio o votare sempre contro, a prescindere.



I grillini influenzeranno l’elezione del capo dello Stato?

Sì, se chi vincerà le politiche non avrà, fin da subito, una chiara strategia istituzionale.

Cosa intende?

Il centrosinistra, che probabilmente vincerà le elezioni, dovrà cercare di mettere al sicuro i capisaldi politici e istituzionali della legislatura. Cercando di costruire un’intesa con il centro che escluda sia Grillo che Berlusconi rispetto alla possibilità di incidere su quelle scelte che, a questo punto, saranno preliminari rispetto ai prossimi 5 anni.

Quale potrebbe essere il contenuto di un patto del genere?

Si dovrà trovare un accordo, anzitutto, sui presidenti della Repubblica, della Camera e del Senato. Occorrerà, inoltre, un impegno per riformare la legge elettorale (fin da subito, quando non è noto a chi potrebbe convenire alle prossime elezioni), il Titolo V e l’architettura dello Stato in merito, ad esempio, ai poteri del premier, al numero dei parlamentari e al sistema bicamerale. Questa agenda istituzionale, benché non rappresenti necessariamente il preludio ad un accordo di governo, sortirebbe effetti profondi anche in seno alle altre formazioni.

Quali?

Nel Pdl si riaprirebbe necessariamente quel processo di democratizzazione interrotto, mentre i grillini non avrebbero più alibi: di fronte ad un calendario di riforme ben precise non potrebbero, di certo, limitarsi all’ostruzionismo fine a se stesso in nome dell’antipolitica.

Al di là del patto istituzionale, non crede che il centrosinistra, se  al Senato non disporrà della maggioranza, sarà costretto ad allearsi con il centro anche per la costituzione dell’esecutivo?

Un accordo vero e proprio di governo è tutt’altro che da escludersi, ma richiede una serie di fattori per nulla scontati; attualmente, non è possibile prevedere se si determineranno le condizioni affinché possa concludersi. Sta di fatto che l’l’intesa sulle cariche e sulle riforme istituzionali è ineludibile a prescindere dal patto per indicare il prossimo esecutivo.

 

(Paolo Nessi