Una precisazione che non precisa, un chiarimento che non chiarisce. Giorgio Napolitano cerca di delimitare il perimetro delle parole dette durante e dopo l’incontro con il presidente Obama, ma non riesce a spegnere la polemica nata intorno alla presunta bacchettata data al centrodestra. E questo episodio fa capire quanto divamperà la campagna elettorale nell’ultima settimana, ora che si spegneranno i riflettori di Sanremo e verrà metabolizzata, almeno temporaneamente, la clamorosa notizia delle dimissioni di papa Benedetto XVI, i due eventi che per una settimana hanno oscurato le elezioni con il risultato di favorire il front runner, cioè il Pd bersaniano.
“Nessuna ingerenza nella campagna elettorale”, assicurano dal Colle. Ma a Berlusconi e ai suoi alleati quell’uscita proprio non è andata giù. La spiegazione che Napolitano ha spiegato i progressi fatti dall’Italia nell’ultimo anno con il sostegno ampio dei partiti non ha affatto convinto, perché accompagnata dalla successiva critica a chi di quel sostegno si è pentito passando a “giudizi liquidatori”.
Ce n’è a sufficienza perché il centrodestra veda il viaggio americano di Napolitano non solo come un sostegno a Monti, ma anche come la benedizione all’assetto successivo dato per più probabile, e cioè l’intesa fra centristi e coalizione di sinistra per governare il paese, in presenza di un sempre più probabile stallo in Senato.
A corroborare questa lettura il formarsi di un fronte di difensori del Capo dello Stato formato proprio dai potenziali alleati del 26 febbraio, Monti, Bersani e Casini, che fanno proprie le parole di Napolitano. Di vergognosa strumentalizzazione parla, ad esempio, Enrico Letta, mentre il leader Udc definisce poco serio sostenere per un anno il governo tecnico e poi fare campagna elettorale all’insegna della denigrazione di quella stessa azione di governo che si è sostenuto.
Tutto vero, ma il centrodestra non ci sta, anzi vede sempre più chiari i segnali di riavvicinamento fra le due parti. Qualcuno parla ormai apertamente di pantomima. Una cortina fumogena di stoccate per marcare il territorio senza farsi troppo male in nome di un’intesa praticamente obbligata dopo il voto e forse – dicono i più maligni – già stipulata.
Da un paio di giorni – segnalano gli osservatori – Mario Monti ha stemperato i toni della polemica contro i suoi bersagli preferiti (insieme a Berlusconi): la Cgil e soprattutto il leader di Sel Nichi Vendola. In questo senso i segnali sono andati tanto avanti da costringerlo ad una correzione di rotta quando ha dovuto spiegare che non aveva fatto alcuna apertura al governatore pugliese. Eppure per tutta settimana aveva ripetuto “se lui cambiasse idea…”. “Solo un periodo ipotetico dell’irrealtà”, ha dovuto precisare, anche per non disorientare troppo i suoi elettori, molti dei quali sono delusi del centrodestra e mostrano qualche timore a dare un voto che sarà speso per costruire un governo di centrosinistra con molta sinistra.
È toccato a Bersani a questo punto offrirsi come punto di equlibrio. Affermare di vedere Vendola come uomo di governo equivale ad ipotizzarne una sua investitura come ministro nel futuro governo, magari in un dicastero sociale come il welfare. Del resto, dopo quasi due mandati come governatore di una grande regione come la Puglia l’ipotesi non può scandalizzare proprio nessuno. Questa affermazione merita però di essere letta in parallelo con un’altra, quella che non ha senso cercare di dividere Pd e Sel. “Chi attacca Vendola, attacca me”, scandita da Bersani con enfasi, può venire a significare che Bersani stesso si candida ad essere il punto di equilibrio fra il centro e la sinistra: forse il suo sogno è avere Monti all’Economia (così da rassicurare i mercati e sfruttarne la credibilità internazionale) e Vendola al Lavoro (per tranquillizzare una fetta consistente della sua base sociale). A lui il compito di mediare e di arbitrare questo difficile match fra riformismi distanti anni luce, sicuro di riuscire ad avere sempre l’ultima parola.
Fantapolitica? Dipenderà dai risultati elettorali. In fondo a conoscerli manca appena una settimana; e Berlusconi,per assestare qualche colpo ad effetto e tentare un disperato recupero in extremis, ha ormai sempre meno tempo a disposizione.