Riceviamo e pubblichiamo le considerazioni di Lorenzo Roesel, studente del secondo anno dell’Università degli Studi di Milano dove segue il corso di laurea in Storia, dopo aver assistito al comizio-spettacolo di Oscar Giannino al Teatro Carcano di Milano.


Caro direttore,

La sera del 18 febbraio a Milano nei dintorni di Porta Romana si respirava un’aria particolare: al Teatro Carcano, a ingresso libero, andava in scena per la penultima volta in un tour che copre tutta Italia, “Una cena italiana”, il comizio-teatrale di Oscar Giannino e della sua formazione politica “Fare per Fermare il declino”. Sorprendenti la partecipazione e l’età del pubblico, decisamente inferiore alla media degli incontri politici soliti (caso grillino a parte).



Alle 21, su il sipario: sulla scena c’è la più classica delle famiglie italiane. La madre, ex berlusconiana convinta e imprenditrice oberata dai debiti; il nonno, sessantottino di ferro e fedele lettore dell’Unità (“un giornale da cui prendi tutte le tue idee sbagliate” dirà più avanti un brillante Oscar Giannino) che si interessa solo di politica sognando i bei tempi andati in cui “si lottava contro i padroni”. I due figli sono un ritratto fedele, pur parziale, della generazione “perduta”: una è laureata in filosofia col massimo dei voti, lavora in un call center e milita apertamente per il movimento Cinque Stelle, l’altro invece, disilluso verso tutto, sogna di scappare da una situazione famigliare che vive con malcelata sofferenza, chiudendosi nei videogiochi e nei sabati sera con gli amici.



In questo, per nulla sereno, contesto familiare, irrompe la luciferina figura di Oscar Giannino: l’entrata in scena è teatrale e colpisce l’intento iniziale apertamente espresso: “sono qui per ascoltare cosa avete da dirmi”.

Allora il risentimento della figlia grillina, i sentimenti rivoluzionari sempreverdi del nonno, i timori, le ansie della madre imprenditrice e la svogliatezza del figlio diventano l’occasione per Giannino di approfondire i temi principali del suo programma in un’atmosfera colloquiale e famigliare.

Al termine dello spettacolo, gli attori scendono e sul palco rimane solo l’indubbiamente elegante figura di Giannino che si presta alle domande e agli interventi del pubblico.



L’argomento più scottante è ovviamente il ritiro di Zingales dalla lista: Giannino in una recente intervista a Repubblica Tv ha mentito sostenendo di aver conseguito da giovane un master a Chicago. Questo è un fatto grave, soprattutto per un partito che predica la meritocrazia, la trasparenza, e l’onestà, è la frase che accompagna l’uscita, senz’altro rumorosissima, del co-fondatore di Fare per Fermare il declino. Esaurito l’argomento, rimangono solo il tempo per alcune domande sul programma, ma insieme allo spettacolo teatrale e ad una lettura approfondita del programma di Fare sono senz’altro sufficienti.

A colpire del partito-movimento di Giannino sono soprattutto alcune cose: fra tutte spicca una sicura e approfondita competenza sui temi economici e finanziari, visto il nutritissimo programma elettorale in merito (curato da economisti di primo livello come Luigi Zingales stesso e Michele Boldrin). Ma appena ci si allontana da questo aspetto, pur sicuramente fondamentale vista l’attuale contingenza economica, regna un vuoto sconfortante. Il leader di Fare per Fermare il declino su temi come la bioetica, le nozze e le adozioni per gli omosessuali, il processo di integrazione europeo, la riforma istituzionale ed elettorale, il ripensamento del welfare state e molti altri aspetti sembra annaspare, smarcarsi richiamandosi ad una posizione soggettivista e relativa all’interno del partito-movimento.

“Su questo tema Fare non ha una linea, parlo a titolo puramente personale” sembra la giustificazione dietro cui Giannino si trincera per evitare di dover ammettere che su questi temi Fare per Fermare il declino non ha una posizione perché non potrebbe averne. E non ne potrebbe avere perché la lista sembra un grande contenitore, di ottime idee certamente, ma che manca strutturalmente di quella prospettiva e multilateralità assolutamente necessarie per chiunque pensi di poter governare un giorno un paese. Emblematica la risposta che Giannino dà sull’eventualità di proseguire il processo di integrazione europeo (un tema caldo anche delle recenti primarie del Pd con l’ipotesi degli Stati Uniti d’Europa): questo tema non interessa, o se interessa è letto solo come strumento ausiliario per perseguire l’obiettivo per antonomasia del movimento-partito: il declino italiano e la ricetta economica che Fare propone per uscirne.

Un’altra domanda rivolta a Giannino nel corso della serata svelerà poi un ulteriore aspetto del pensiero del fondatore di Fare, forse quello più somigliante a Grillo e al suo Movimento Cinque Stelle: l’assenza totale di compromesso. Una possibilità del genere non è nemmeno contemplata, perché sono “loro” ad averci condotto sull’orlo del baratro, sono “loro” ad aver reso lo Stato un’arpia per le tasche dei contribuenti e “loro” ad essere incoerenti, immorali, cadreghini. Demonizzare il proprio avversario (“sono degni di essere presi a calci”, aveva detto pochi minuti prima Giannino durante lo spettacolo teatrale) è premessa indispensabile ad una mentalità talebana ed ideologica estremamente pericolosa. Piuttosto che scendere a patti con gli altri partiti e con il proprio programma, infatti Giannino dichiara apertamente di preferire un’altra tornata elettorale, e un’altra ancora fino a quando il suo partito non avrà una consistenza sufficiente ad imporsi sulla scena politica.

La netta impressione è che Giannino non abbia fatto proprie le parole di Benedetto XVI, che nel 1981 scriveva: «Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo: limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra pragmatismo da meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità dell’uomo e delle sue possibilità. Non è morale il moralismo dell’avventura, che tende a realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera dell’uomo. Non l’assenza di compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica».

Mai parole furono più azzeccate per questa proposta politica, che ha, nostro malgrado, il sapore amaro dell’infecondità.  

(Lorenzo Roesel)