Caro direttore,

Nella cronaca italiana, irrompe la Storia. E costringe a cercare dimensioni più reali nel misurare le scelte che il popolo italiano comunque farà quattro giorni prima della fine di un grande pontificato.

In un clima infestato da uno scontro politico velenoso, qualcuno ha già provato ad attribuire finalità speculative a ciò che è accaduto nel cuore di Roma. Ma è un tentativo ridicolo. La realtà è che quando un fatto straordinario accade nella storia, è inevitabile che incida su tutto. Perfino sulla politica.



L’Italia ha nel suo cuore un seme di libertà che resiste a qualunque tentativo di eliminazione. E mentre le diverse strategie politiche si scontrano, nel pieno di uno smarrimento che confonde tutto e tutti, nel vortice di un confronto senza punti certi, emerge comunque la necessità di una indicazione forte, di un punto fermo su cui costruire un tentativo politico finalizzato al bene comune. Il confronto elettorale nei giorni scorsi è stato centrato sulle questioni economiche e soprattutto su quelle fiscali: la ferita ancora bruciante di un prelievo tributario che oggettivamente ha colpito i più deboli è diventato l’argomento su cui agire per conquistare o recuperare consenso. Ma tutti sappiamo che il nocciolo del problema non è lì.



La politica è fatta di decisioni, leggi, atti amministrativi, accordi, programmi e bilanci. In tutto questo si concretizza una concezione della vita, dell’economia, della società.

La mia Regione, la Sardegna, ha attraversato una crisi più grave persino di quella, già grave, dall’Italia: il crollo dell’industria di base, chimica, metallurgica, mineraria ha portato ad una massiccia perdita di lavoro, cui non corrisponde una alternativa di ripresa. Siamo passati da 4mila beneficiari di ammortizzatori sociali a più di 15mila nel 2012. E nel frattempo le risorse finanziarie regionali sono diminuite del 10% del nostro bilancio.



Questo è lo scenario che ha di fronte un sistema politico che, invece di favorire la coesione necessaria per trovare risposte concrete, si irrigidisce nel conflitto tra schieramenti e nella ossessiva ricerca dell’affermazione personalistica.

È importante, quindi, rompere questo schema. Non con un atto di ribellione, ma con un tentativo di costruzione. Le basi ci sono: è possibile investire sull’innovazione finanziando piattaforme tecnologiche di avanguardia, investire sulla ricerca scientifica, sostenendo i ricercatori della nostra università, sul credito, attraverso i fondi di garanzia e i consorzi fidi. È possibile uno Stato, una Regione, un Comune, in cui si crei spazio per l’iniziativa, per la creatività, per il rischio personale.

Comunque vadano le prossime elezioni, la svolta è inevitabile. E qualcuno deve iniziare ad aprire una strada.