Dopo diversi mesi nei quali il dibattito politico è stato incentrato sulla stabilità (che non va abbandonata), il tema centrale della prossima legislatura sarà la crescita. Spesso si tende a ridurre questo concetto al solo significato economico, che, pur importante, non è esaustivo. La crescita, infatti, ha a che fare più con la civiltà che con lo sviluppo. Nel dibattito elettorale si sono proposte ricette tecniche, alle quali sottointendono culture diverse, ma quasi mai dichiarate. L’idea di crescita che è alla base del programma del Popolo della Libertà ha a che fare con una visione antropologica chiara: al centro della società e dell’economia – quindi della crescita – c’è la persona, in tutte le sue dimensioni.
La persona mossa dal desiderio di essere protagonista della vita e della società. Non è una premessa teorica, significa piuttosto rispondere alla domanda fondamentale su quale sia l’origine della crescita, da dove stia l’origine di quella ripartenza che tutti desideriamo. Da questo punto di vista, i “valori non negoziabili” costituiscono non solo un richiamo ai politici cattolici, ma indicano anche dei limiti precisi alla pretesa dello stato di considerarsi onnipotente e fonte di ogni diritto. Non solo: pongono l’attenzione sui contenuti prioritari di una civiltà che voglia essere veramente tale, divenendo anche una indicazione forte di metodo.
Sinteticamente: si riparte dalla persona e dalle sue relazioni, dalla sua libertà come tensione ad un ideale che lo porta a contribuire alla società con l’educazione e con il lavoro, non dallo stato o dalla burocrazia (lo stato che pretende di farsi società civile). L’Italia riparte se si ricomincia dalla vita delle persone e delle comunità in cui vive un ideale, non certo dai vincoli di bilancio.
Le battaglie che abbiamo fatto con tanti amici in Parlamento nella scorsa legislatura a difesa di Eluana Englaro, per la dignità umana dei carcerati attraverso il lavoro, a sostegno della famiglia (franchigia per i figli sull’IMU e maggiorazione della detraibilità per i figli nella Legge di Stabilità), per evitare i tagli lineari alla libertà di educazione, lo Statuto delle Imprese (legge 180/2011) e l’Iva di cassa per dare più libertà alle imprese e mettere al centro le micro, piccole e medie imprese, sono esempi di questa posizione. È stato un “lavoro di squadra”, perché anche in politica si può costruire solo insieme. Anche nella prossima legislatura intendiamo continuare su questa scia. In particolare, abbiamo incentrato il programma su due grandi focus: la famiglia e il lavoro. La crisi economica e l’aggravio della tassazione hanno messo in seria difficoltà le famiglie italiane. Non si ripartirà certo con un neo-assistenzialismo che, sotto la pretesa di sempre nuovi diritti, mira in realtà a tenere le persone passive.



Da questo punto di vista un primo aspetto essenziale di lavoro è la considerazione della soggettività della famiglia dal punto di vista fiscale. Una riforma fiscale attraverso l’introduzione del quoziente famigliare in ogni forma di tassazione e come criterio di accesso alle politiche di welfare, è innanzitutto riconoscimento dell’ineliminabile valore sociale della famiglia. Altro tema centrale e connesso a questo è il lavoro. Nel nostro programma ci sono misure volte ad una consistente defiscalizzazione delle imprese che creano occupazione (irap e cuneo fiscale), nella consapevolezza – anche qui – che welfare non significa assistenzialismo e passività, ma dare un’opportunità. Per noi, il primo e più importante welfare è il lavoro.
Ma il lavoro non si crea per decreto, lo creano le imprese (comprese le imprese sociali). L’attenzione all’elemento fiscale è centrale in tutte le politiche che proponiamo, perché il fisco è la cartina al tornasole della sussidiarietà. Se lo stato toglie a famiglie e imprese le risorse che servono per investire la crescita resta un’illusione. Al contrario, una vera sussidiarietà fiscale significa che lo stato si fida delle persone, scommette sulla loro libertà e creatività, creando le condizioni favorevoli per liberare le energie presenti nella nostra società.
Da queste sfide riparte anche la moralità vera della politica, perché, come affermava il filosofo francese Paul Ricoeur, “l’etica del politico non consiste in altra cosa che nella creazione di spazi di libertà”.

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