A che percentuale si fermerà il ciclone Beppe Grillo? Alla vigilia del voto la domanda che assilla politici e osservatori è solo una: e le immagini di piazza san Giovanni strapiena non fanno altro che moltiplicare la paura. Dopo le crisi interne che avevano contrassegnato il day after del grande successo alle ultime amministrative, sembrava che la parabola politica del comico genovese avesse cominciato la sua fase discendente. Invece una strategia accorta e molto determinata lo ha portato a risalire la china. E ora, più che processare il suo modello un po’ plebiscitario è meglio capire quali sono le chiavi che gli stanno portando tutto questo consenso. Ne provo a proporre tre.
La prima riguarda la grande adesione che Grillo ha raccolto tra i giovani (il 30,4% degli under 23 secondo un sondaggio di Mannheimer). Un dato che deve far riflettere, perché smentisce la spiegazione secondo la quale i 5stelle raccoglierebbero il consenso di chi è stufo della politica e dei partiti. Ma questo vale, anagraficamente, per chi ha avuto un minimo di tempo per sperimentare il fallimento e quindi per rifluire in un voto di protesta. Non può valere per chi è al primo voto e non può che avere una percezione molto parziale di come vadano le cose della politica nel nostro Paese. Anche perché se c’è una categoria che definisce il rapporto tra giovani e partiti è l’indifferenza, assai più che l’indignazione. Che cosa allora spinge i ragazzi a dare il loro consenso a Grillo? Certamente l’antiformalismo dei suoi messaggi e del suo modo di comunicarli. Ma poi, soprattutto, il fatto che non ha messo nel mirino solo la politica partitica, ma un intero “sistema paese”: e quindi ad esempio anche quei poteri economici e culturali responsabili di un assetto che lascia ai giovani pochissime chance. Che chiude loro le porte del futuro.
La seconda spiegazione si lega a un episodio accaduto ieri a Piazza san Giovanni. Grillo con un gesto dei suoi, all’inizio, ha impedito l’accesso al palco ai giornalisti delle testate italiane. La sua strategia in questa campagna elettorale è stata sempre chiara: evitare i contatti con la stampa e con le tv. La si è interpretata come un timore del confronto; in realtà Grillo con questo suo tirarsi fuori ha messo a nudo una verità sul sistema della grande informazione: ha evidenziato quanto sia collusa culturalmente con le stesse logiche della politica partitica.
Collusa significa che non è soltanto schierata, ma che fa parte dello stesso mondo; che è contigua, se non addirittura, inquilina del palazzo. Questo significa che lo tsunami di Grillo non ha messo nel mirino solo la politica partitica ma un sistema ben più vasto. Dovesse raccogliere tutti quei consensi che i sondaggi sussurrati gli attribuiscono, non sono solo i partiti vecchi e nuovi a doversi preoccupare e sentirsi alla sbarra… Terza spiegazione. La forza di Grillo è anche nell’irriducibile conservatorismo di tutti gli altri.
Inutile fare l’elenco, i nomi e le facce li abbiamo avuti tutti davanti in queste settimane di campagne elettorale. Persino chi, come Monti, poteva giocare la carta di presentarsi come soggetto, se non estraneo al sistema, almeno forte di un’aura super partes, si è lasciato intruppare nel mediocre cabotaggio della politica partitica. È un conservatorismo che ha avuto la sua manifestazione più clamorosa nella vicenda che ha visto protagonista Matteo Renzi: comunque la si pensi, è evidente che Renzi rappresentava un fattore di novità proprio per la sua capacità di scompaginare le appartenenze e la sua estraneità a quella politica che Grillo ha oggi gioco facile a mettere nel mirino. Fosse stato in lizza Renzi, i giochi per il grande demagogo genovese sarebbero stati più complicati. Invece con il rito un po’ troppo d’apparato delle primarie è stata chiusa la porta Renzi. Con il risultato di vedere quella stessa porta a rischio sfondamento per la forza dello tsunami di Grillo.